14 apr 2007

ASCOLTARE IL MINORE NEL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE FAMILIARE. Utilizzo del “Lausanne Triadic Play”

Paola Aldinucci
Assistente Sociale, Mediatrice Familiare

Giancarlo Francini
Psicolgo Psicoterapeuta, didatta A.I.M.S.ITF di Siena e Firenze, Responsabile della sezione affidi, adozioni e abuso e della sezione interculturale dell' ITFF di firenze pappalardo-francini@libero.it


L’immagine del bambino nel contesto sociale Il bambino nell’antichità e nella cultura cattolica del Medioevonon era visto come una persona ma come un’entità in parte informein parte non umana del tutto1. Per esempio nel cristianesimo antico (S.Agostino)l’infanzia non rappresentava l’età dell’innocenza, mala manifestazione di una natura incompleta, manchevole, impura. Questa impurità e imperfezione ponevano il bambino al limite del mondodegli uomini e questa loro liminalità li rendeva straordinariamente disponibiliad essere tramiti, medium e voci di una realtà anche soprannaturale – mediumideali di pratiche divinatorie e profetiche. Nel Medioevo, il puer è emblema di purità e innocenza (un esempio è rappresentatodal fenomeno delle sante bambine molto diffuso in Italia e in Europa in genere)2;perciò i pueri potevano essere canale privilegiato di comunicazione conil divino e di manifestazione del divino ma allo stesso tempo diventavano i purificatoridella communitas, occupandosi dell’espulsione materiale dei corpi estranei(cadaveri espulsi e reietti)3 – “i bambini tra il Medioevo e l’Età modernasembrano rivestire un’ambiguità profonda che verrà a risolversisolo nel grandioso progetto di disciplinamento della Controriforma, che li trasformerà daportatori di simboli in futuri adulti, bisognosi di controllo e di una rigorosaformazione”; sono di questo periodo infatti le scuole di catechismo chesi pongono lo scopo di strappare i bambini dalla peccaminosità della natura4(della strada si sarebbe detto con altra terminologia) per ricondurli sulla rettavia del cristianesimo e della maturità (della crescita diremmo oggi ea volte diremmo della scolarizzazione). Se fino al secolo scorso il bambino veniva considerato immaturo ed incapace diprendere decisioni, pian piano si fa strada una nuova concezione di questo bambino,inquadrandolo sempre più come soggetto attivo e competente fino alla promulgazionedella Convenzione dell’ONU del 20 novembre 1989, punto di riferimento perla tutela e l’affermazione dell’infanzia, dove all’art. 12lo si riconosce come cittadino capace di autodeterminarsi e a cui debba essereofferta la possibilità di partecipazione attiva alle decisioni che loriguardano. Quindi nonostante le difficoltà di attuazione, i diritti deiminori non possono essere trascurati essendo stati riconosciuti a livello internazionaledalla Convenzione ONU dove all’interno di tale Convenzione vengono riconosciutial bambino diritti di pensiero, di espressione, in quanto soggetto di dirittie non solo oggetto di tutela, assicurandogli la possibilità di autonomiaed una soggettività giuridica. Gli stati aderenti, ratificando la Convenzione e rendendola esecutiva, (comeha fatto l’Italia con la legge n. 176 del 27.5.1991) si sono impegnatia introdurre a livello nazionale dei cambiamenti nella normativa e nelle istituzioniper assicurare al minore i diritti riconosciuti5. Nella Convenzione ONU si indica chiaramente che in tutti i procedimenti giuridicio amministrativi che coinvolgono un bambino deve essere offerta l’occasioneaffinché al bambino venga data la possibilità di essere ascoltatodirettamente o indirettamente; anche per questo, molti esperti di MediazioneFamiliare preferiscono convocare anche i figli negli incontri di mediazione. Il diritto riconosciuto all’Infanzia, si incrocia e di fatto rinforza quellanecessità di ascolto del minore che già si era fatto strada inquanti si interessavano ed operavano nella dimensione psicogiuridica6. Di fatto, però l’Italia, risulta carente nell’applicare ildiritto di ascolto del minore in quanto è lasciata al giudice la discrezionedi ascoltare o meno il minore, limitando l’ascolto ai casi in cui “siastrettamente necessario” o “se lo ritiene opportuno”. Inoltrela partecipazione si differenzia a seconda del procedimento e dell’età delminore, stabilendo in alcuni casi l’obbligatorietà dell’ascolto,in altri il potere vincolante delle sue opinioni, ed in altri ancora non prevedendonessuna forma di ascolto. Tale ambiguità si riflette in un dibattito tra chi ritiene superfluo l’ascoltodel fanciullo perché considera la sua audizione inattendibile per la suaimmaturità e/o evento per lui traumatico e chi invece ritiene la sua partecipazionesempre necessaria. Il rischio quindi è che il minore abbia in sostanza,un ruolo pressoché marginale sia in termini di qualità di ascoltoche ottiene, sia in termini di qualità di informazioni che riceve in materiadi argomenti che lo riguardano. Probabilmente quella che deve essere modificata è “l’immagine” delbambino nella società che, nonostante le rilevanze scientifiche ormaipresenti, continua molto spesso a ritenerlo immaturo, indifeso e incapace, lasciandoai genitori o al giudice il potere decisionale della sua vita. Ciò che per tutti è senz’altro sconsigliabile è nontanto l’audizione del minore quanto il suo ingresso come “parte” delprocesso e qui ci riferiamo soprattutto ai casi di lite tra genitori che si separano. Chiaramente “ascoltare” il minore è un intervento complessoche richiede capacità particolari da parte dell’interlocutore adultoche non significa sempre audizione verbale ma si avvale di altri strumenti comeil gioco (nel gioco le difese del bambino si allentano facendo emergere i suoibisogni rimossi e negati), il disegno. Alcuni autori affermano che il bambino è unaminiera di informazioni se l’adulto è un buon minatore, evidenziandocosì l’importanza dell’adulto e le sue capacità percomprendere e anche per poter aiutare il bambino. L’adulto deve stabilire con il minore una relazione empatica, creare unospazio su misura per lui, usare un linguaggio appropriato all’età dellapersona che ha davanti, cercare di sentire quelli che sono i suoi bisogni e sentimenti. In particolare un corretto ascolto del minore deve riuscire a cogliere i suoicomportamenti all’interno di quelli che sono i “giochi relazionali” deimembri del nucleo, l’atteggiamento dei genitori nei confronti del figlio,o tra loro due. Pertanto ascoltare un minore significa non solo porre l’attenzioneai suoi messaggi e a come si muove, ma a tutti i messaggi e comportamenti cheprovengono dal contesto familiare in cui è inserito creando un nesso traquesti e quelli. Il progetto verso cui tendiamo è quello di fare in modoche a questo minore venga prestata più attenzione e più spazioproprio da quei due genitori (che magari in quel momento stanno dolorosamenteseparandosi come coniugi e l’attenzione per i figli può diminuire)che hanno il compito di proteggerlo e di riconoscerlo come persona autonoma coni propri sentimenti ed emozioni.

I bambini nel conflitto coniugale

Il bambino in mezzo alla discordia

Il bambino vive la ricorsività del conflitto e questo ha su di lui molteplici effetti:
somatici: sente un “malino alla pancia” che si attiva in caso di una prima litigata e che si riattiva spontaneamente ogni qualvolta si ricreano situazioni e atmosfere relazionali che possono riprodurre quella litigata.
E’ ovvio che lui farà di tutto per interrompere quella situazione. Per certi versi egli ha già fatto quella esperienza: quando affamato aspettava il latte della madre o l’intervento della madre che risolvesse il suo bisogno aveva imparato a richiamare l’attenzione su di sé. Di fatto continua a trovare sistemi che richiamino l’attenzione sul suo bisogno che qualcuno annulli quella fastidiosa sensazione alla pancia che altro non è che la paura stessa della fine del legame.
Quindi produce comportamenti efficaci: temporaneamente (rompere qualcosa, farsi sgridare, farsi male); permanentemente (producendo inconsapevolmente sintomi: la malattia del figlio richiama i genitori ai loro obblighi e compiti genitoriali e distrae dai bisogni coniugali).
Cognitivi: il bambino si rende conto della relazione tra i due e, mosso dalla paura del non conosciuto (fine del matrimonio) si attiva, a volte anche in forma paradossale. Per esempio legarsi ad uno dei due non vuol dire sperare che l’altro non ci sia, ma il più delle volte vuol dire costringere l’altro a rimanere per il legame che ha con quel figlio/a che lo ha sedotto.
Affettivi: sappiamo che i bambini che assistono alla conflittualità distruttiva (non solo violenta) tra i genitori sviluppano poca fiducia nelle relazioni, una indifferenza nei confronti della situazione familiare che produce a livello di personalità, passività, isolamento, ambivalenza affettiva, ma anche aggressività, e acting-out. I bambini che vivono nella discordia coniugale (anche se questa non arriva al grado di violenza intrafamiliare), vivono un’esperienza simile sviluppando perlopiù sfiducia nel legame e contemporaneamente bisogno di legame. Paura della fine del legame e contemporaneamente speranza della cessazione di quella relazione. Lo stile di attaccamento che sviluppano è uno stile evitante. Il bambino svilupperà tutta una serie di strategie per non sentire, per evitare, per mediare tra di loro.
L’obbiettivo di questo bambino sarà sempre e comunque il “ farli smettere”, a qualunque costo, e spesso il costo a cui ci si riferisce è quello dell’autolesione o più spesso ancora del proprio sacrificio alla missione della riconciliazione, del mantenimento della forma legame, al loro di stanziamento perché non si avvicinino troppo e troppo pericolosamente.

Il bambino in mezzo alla frattura

Gli effetti della separazione sui bambini7 sono ormai abbastanza studiati (più all’estero che in Italia, in verità), e riconosciamo ormai un rischio certo di evoluzione patologica, nel primo anno di separazione, e successivamente una stabilizzazione di sintomi o difficoltà solo se la discordia tra i genitori non viene superata8. In un certo senso la buona notizia che ci arriva dalla ricerca psicosociale e clinica è che la separazione coniugale, se di per sé è un rischio per il bambino non sempre e non necessariamente porta un danno; quindi la possibilità che evolva un danno dall’esperienza di separazione è legato alla capacità dei genitori di riconoscersi l’un l’altro nella loro funzione genitoriale e nel permettere al figlio di avere accesso all’altro genitore9.
Quindi lo spazio che il bambino ha nella separazione dei genitori è molto grande, non nel senso di una responsabilità nella loro decisione, (come a volte i bambini ritengono nelle loro fantasie che nessuno è interessato a conoscere), bensì come spazio segreto di ricerca di senso alla sua presenza e al suo compito nel salvare il salvabile. Spazio che viene determinato da limitate e fredde (ma necessarie sovente) regole di orari e modalità di visita che incorniciano tutta la fatica che lui fa per comprendere ciò che è successo e cosa soprattutto potrà succedere, a chi si potrà rivolgere e quale funzione dovrà assumere per mettere argini ad un mondo che si sta disintegrando ai suoi occhi.
Da qui la necessità di ascoltare il minore.

Ascoltare il bambino

Nel cercare di presentare il nostro intervento di ascolto dei minori nell’ambito della mediazione familiare dei genitori, vorremmo proporre al lettore di spostarsi da un’ottica ad un’altra:

...dalla legge: nuovo regolamento in attuazione della direttiva europea detta Convenzione di Strasburgo ratificata Giugno 2000 – il maggiore interesse dei figli e il diritto del bambino ad avere una famiglia –il diritto alla parola nel processo che lo riguarda. Più di recente di fronte alla sorgente preferenza per l’affidamento congiunto o condiviso, si sta facendo strada l’idea che l’affidamento debba essere normalmente congiunto e che la decisone rispetto alla domiciliazione del figlio sia legata all’ascolto dei desideri e bisogni del figlio stesso e non in relazione alla personalità dei genitori o del loro comportamento.
...alla comprensione. Cosa vuol dire ascoltare il minore? In nessun caso vuol dire assecondare le sue parole.
Vuol dire invece ascoltare le sue parole, ma ancora di più i suoi bisogni: cioè ascoltare il suo punto di vista sulla situazione.
Alle volte il desiderio del bambino corrisponde allo svolgimento (o continuazione dello svolgimento) di quelle funzioni che sappiamo sono funzionali a “farli smettere”.
In un certo senso la lealtà che il bambino vive al di là della sua volontà stessa, inficia di fatto il suo comportamento e anche l’espressione del suo desiderio. Per esempio un bambino che preferisce stare col padre per potersi occupare di lui perchè poverino è rimasto solo, non sta certo esprimendo il suo desiderio (nel senso della crescita), ma sta esplicitando il suo progetto sacrificale per salvare ciò che è irrimediabilmente fallito: l’unione.

Piccoli Ulisse tra Scilla e Cariddi10

Come coloro che hanno visto andare in frantumi il loro orizzonte di riferimento, vivono nel tentativo di ricomporre in sé ciò che è irrimediabilmente frantumato e rotto.
Il bambino vive in un triangolo relazionale: alleanze, coalizioni e funzioni.
Noi sappiamo che come soggetti appartenenti ad un sistema, i bambini non possono non influenzare (e non essere influenzati): al di là dell’influenza reciproca, quello che spesso vediamo è la manipolazione (più o meno consapevole): dare al figlio il proprio punto di vista eliminando l’altro o la storia dell’altro, o appiattendola sull’immagine del colpevole, dell’estraneo, del diverso.
Da qui emerge il pericolo di “ascoltare” il bambino, senza contestualizzare il suo essere un vertice del triangolo.
Tutti i bambini hanno bisogno di poter riunire in sé l’eredità dei propri genitori, di mettere insieme le parti di sé che sono prodotte dall’incontro con il padre e quelle con l’incontro con la madre. Garantire l’accesso del bambino all’altro genitore vuol dire allora garantire al bambino la possibilità di integrare in sé queste parti diverse, così diverse che hanno portato alla discordia prima alla frattura poi.

“L’essere amico di due che sono nemici tra di loro”

Questa è la frase che un figlio usò per descrivere la sua situazione in mezzo ai suoi genitori separati (da anni); nei casi di separazione irrisolta e legame disperante questa immagine ben rappresenta il vissuto del figlio; egli vorrebbe un buon rapporto con entrambi, vuol bene ad entrambi, ma ha imparato che loro due non potranno mai andare d’accordo e ha come unico strumento per evitare quel malessere che aveva vissuto da bambino durante le loro litigate: tenerli rigidamente lontani e distinti. Così, come un abile marinaio di sottomarini, prima di aprire la porta del padre, chiude le tenute stagne dello spazio in cui rimane la madre, e poi, quando di nuovo passa dal padre alla madre, chiude le tenute stagne dello spazio del padre. Non si devono toccare, non devono sapere l’uno dell’altro, non devono aver l’impressione che lui sia più o meno amico dell’altro.
Come può, vivere liberamente la sua amicizia e il suo affetto con uno e poi lo stesso con l’altro/a ?
Ha bisogno di tre cose fondamentali:
a) che i tempi, gli spazi e le frequenze, per le quali lui possa essere e sentirsi liberamente in rapporto con l’uno o l’altro/a, siano fissati rigidamente da altri, e non da lui.
b) Ha bisogno inoltre di avere il consenso di entrambi a questo accesso. Ha bisogno, cioè, che entrambi diano a lui il permesso di essere amico dell’altro/a, senza che questo cambi lo stato di “guerra” tra di loro e allo stesso tempo il rapporto che ognuno di loro individualmente ha con lui.
In definitiva ha bisogno che nessuno dei due lo usi più come investigatore privato, portavoce, giudice capace di dire alla storia e al mondo chi aveva ragione e chi no.
Sappiamo anche che questo sarà compito anche dello stesso figlio, che dovrà trovare la forza di esentarsi da queste funzioni e restituirleai genitori, ma solo nel tempo questo potrà avvenire.
c) Inoltre ha bisogno che si creino degli spazi in cui poter avere con entrambi anche se separatamente degli scambi significativi dove col tempo sia possibile affrontare il senso stesso della loro storia coniugale prima e di quella separativa poi, dove i genitori siano disponibili a mettersi in gioco di fronte all’inevitabilidomande sui perché, sui quando, e su chi.

Il desiderio dei bambini

Se come sopra dicevamo, diventa essenziale, al processo e non solo, comprendere il desiderio del bambino, perché possa essere tenuto la centro dei procedimenti che lo riguardano, e che, quindi, come persona a tutti gli effetti abbia il diritto di conoscere e di esprimersi in esso, per noi operatori diventa determinante non solo porsi l’obbiettivo di conoscere questo desiderio ma anche costruire e approntare modalità e spazi in cui il bambino possa esprimersi e i genitori comprendere.
Per far questo noi riteniamo che sia necessario spostare la nostra domanda interna, da cosa desidera il bambino alla domanda: a chi giova?
In un certo senso ci domandiamo la funzione delle espressioni del bambino, come per esempio il suo rifiuto ad andare dall’altro. Ma anche la complicità di colui che appena ci si avvicina all’obbiettivo manda una nuova provocazione per paura di cambiare l’equilibrio.
In questo intento diventa utile chiederci quali nessi ci siano tra desiderio e funzione.

Desiderio
Questo termine può essere assunto in due
significati:
a) Appetizione
Il principio che spinge un essere vivente all’azione, in vista della soddisfazione di un bisogno, o della realizzazione di un fine.
All’appetizione appartengono:
1) il desiderio; (vedi appetizione sensibile);
2) l’irascibilità; (è quello per cui si resiste alle azioni nocive e si agisce di fronte a tutto ciò che è difficile);
3) la volontà; (l’appoggio o il rinforzo che un desiderio o uno sforzo riceve nella cooperazione di un impulso eccitato nel sistema dei sentimenti di autoconsiderazione – l’impulso determinante è costituito da un atteggiamento di riguardo o di esaltazione dell’io di fronte ase stesso).

b) appetizione sensibile (rivolta cioè a ciò che è piacevole – Aristotele).
“L’attività che cerca di procedere per rompere la diga chela trattiene. L’oggetto che si presenta al pensiero come la meta del Desiderio, è l’oggettodell’ambiente che, se fosse presente, assicurerebbe una riunificazionedell’attività e la restaurazione dell’unità” (Dewey)11.

Funzione
Questo termine ha due significati:
a) Operazione
In un certo senso si intende l’azione diretta ad un fine: “ Radcliffe-Brown definisce la Funzione di un’attività sociale ricorrente (cerimonia funeraria per es.) come la parte che essa gioca nella vita sociale come untutto e perciò il contributo che apporta al mantenimento della continuità strutturale”12.

b) Relazione
attiene all’interdipendenza dei fenomeni tra loro e consente la determinazione quantitativa di questa interdipendenza senza presupporre o assumere nulla circa la produzione di un fenomeno da parte di un altro.
Sappiamo altresì che la relazione tra una o più persone va al di là dell’interazione tra di essi poiché rimanda direttamente al senso e al significato che da quella interazione filtra e si deposita nelle persone partecipanti ad essa, e questo vissuto conseguente è ciò che costituisce la relazione.

L’excursus, sommario e semplicistico su questi concetti, ci apre la strada a discriminare e distinguere il desiderio:
1) desiderio come “irascibilità”, nel senso della reazione di fronte al nocivo, all’oppositivo alla difficoltà o impedimento;
2) desiderio come volontà, come impulso dei sentimenti di autoconsiderazione, come atteggiamento di riguardo o esaltazione dell’io di fronte a se stesso;
3) desiderio come appetizione sensibile che tende all’unità (forse impossibile).
Ma anche la funzione la possiamo intendere nei due sensi:
1) operazione diretta ad un fine congruo con la struttura;
2) la forma della connessione esistente tra due o più fenomeni.

Alla definizione importante che A. Dell’Antonio13 aveva dato del desiderio del bambino come dimensione interna, possiamo aggiungere una serie di atteggiamenti che ne rappresentano delle manifestazioni:
a) irascibilità;
b) volontà dell’Io;
c) tendenza all’unità;
d) operazione diretta ad un fine.

Il bambino in Mediazione familiare e l’utilizzo del “Lausanne Triadic Play”

Ascoltare il minore richiede un atteggiamento nei confronti dei genitori che li aiutano a passare da una posizione di conflitto sui figli ad una di collaborazione14. E l’intervento giudiziario spesso non è adatto a gestire questa conflittualità perché per sua natura si basa sul bipolarismo vincente-perdente con un mantenimento della rabbia e rancore tra i due ex coniugi che spesso li porta ad avanzare richieste di revisione anche per molti anni. L’alternativa quindi al procedimento giuridico per affrontare la crisi è la mediazione familiare15 e all’interno di tale percorso, anche se non tutte le scuole di mediazione lo prevedono, la creazione di uno spazio per l’ascolto del minore con tecniche indicate per la sua età.
Ma, come afferma Mazzei16 è ovvio che “ la convocazione dei bambini alle sedute di mediazione familiare non deve significare chiedere ai bambini con chi vogliono stare, oppure un giudizio sui genitori, quanto piuttosto consentire ai genitori, coerentemente con le finalità della mediazione familiare, di apprendere qualcosa di più sulla situazione psicologica dei figli, in modo da poter esercitare la loro potestà genitoriale. Si può così evitare il rischio, sempre presente, di ridurre le due posizioni all’ormai classica dicotomia che vede un genitore sostenere le affermazioni di un bambino e l’altro evidenziare che il bambino è strumentalizzato.”
Sempre Mazzei continua: “noi convochiamo i bambini alle sedute di mediazione familiare perché vogliamo far emergere una competenza genitoriale rispetto ai bisogni e ai vissuti dei bambini, con il vantaggio secondario di enfatizzare il sottosistema genitoriale. E’ importante capire se le informazioni rispetto alla separazione siano arrivate in maniera corretta, diminuire il rischio dei sensi di colpa. I genitori, infatti, dichiarano i motivi della separazione e sono aiutati a farlo dal mediatore, rispondono agli eventuali dubbi dei bambini.”
Quello che ci interessa quindi è creare uno spazio dove ad ascoltare i bambini siano appunto i genitori, ma per far questo abbiamo bisogno di creare una dimensione spazio-temporale capace di fermare i genitori in una posizione in cui l’ascolto sia possibile, mettendo da parte il “rumore” della loro conflittualità autocentrata, e aiutarli a ritrovare una direzione verso i figli.
Per questo è utile, a nostro avviso, dedicare tempo e ricerca all’individuazione e ottimizzazione di strumenti e modalità adeguate.
Per l’ascolto dei bambini in mediazione familiare si possono utilizzare tecniche simboliche per osservare comportamenti non verbali e interazioni familiari in situazioni di gioco o di disegno che vengono poi videoregistrate.
Tra le tecniche utilizzate con genitori e bambini nelle mediazioni familiari ci soffermeremo qui sul “Lausanne Triadic Play”17 che consiste in un “gioco familiare” per osservare la famiglia come lavora insieme e valutare se collabora e se i suoi membri si aiutano a vicenda. Era necessario poter utilizzare in mediazione uno strumento per osservare l’interazione dei genitori con i figli fino all’età di sei anni fino a quando cioè non è praticamente utilizzabile l’altra tecnica simbolica, il disegno congiunto.
Il compito richiesto dal mediatore dimostra che i tre debbano “lavorare insieme” come una squadra.
Quello che a noi interessa è osservare le numerose variazioni e combinazioni che si discosteranno da questo compito di gruppo che potrà apparire collaborativo, disorganizzato e soprattutto osservare le numerose variazioni nei vari passaggi. Le quattro scene, infatti, non sono studiate a sé stanti ma vengono studiate anche i momenti di transizione, la capacità di coordinazione tra i tre membri del sistema, le negoziazioni tra i membri nel momento delle transizioni, momento che richiede una stretta coordinazione tra i partner.
Il primo punto per esempio ci dirà e lo dirà anche ai genitori l’idea di quanto poi nella quotidianità riusciranno a collaborare nella gestione della loro genitorialità, una fotografia (dinamica) per vedere a che punto sono del loro lavoro. Osservare quindi tutte queste interazioni dei genitori con il figlio, mentre si danno il cambio, mentre collaborano, vedere come si organizzano nella terza configurazione quando devono tornare a parlare tra di loro è molto rappresentativo di ciò che succede nella loro separazione.
Lo studio di tali situazioni comprende come detto anche i momenti di transizione da una fase all’altra, importante in quanto richiede una buona coordinazione tra i partner. Ciò permette di osservare principalmente il grado di accordo/disaccordo tra i due genitori, le modalità genitoriali, l’empatia dei rapporti, le reazioni del bambino.

L’utilizzo con i genitori della videoregistrazione del “Lausanne Triadic Play”

Da circa un anno abbiamo iniziato a sperimentare in mediazione una nuova tecnica associata al LTP, e cioè nella seduta successiva a quella in cui i genitori e figli sono stati impegnati nel compito delle quattro fasi, noi mediatori abbiamo coinvolto la coppia genitoriale a rivisitare brani della videoregistrazione della seduta precedente, per una più approfondita analisi dell’interazione. Così in questo incontro è stato possibile verificare e lavorare con i genitori sulle loro percezioni personali rispetto a questa esperienza, verificate durante le varie fasi del gioco. Qui di seguito riporteremo la trascrizione di due mediazioni familiari in cui è stata utilizzata prima la tecnica del “gioco triadico di Losanna” e poi la tecnica ancora in fase di sperimentazione in mediazione dell’utilizzo della videoregistrazione a posteriori con i genitori, associata ad una piccola intervista da parte del mediatore su ciò che è accaduto, su come si sono sentiti, su come hanno vissuto le quattro fasi dell’interazione.
Proponiamo un caso clinico per riflettere su questa modalità.

Mediazione Familiare di Ginevra e Edoardo

Edoardo e Ginevra di anni 31, sono sposati da 6 anni e separati da 8 mesi quando si rivolgono al servizio di mediazione familiare per chiedere un aiuto rispetto alla gestione delle figlie e al problema della presenza di una terza persona nella vita di queste, il nuovo compagno di Ginevra.
Ginevra proviene da una famiglia con un’alta conflittualità genitoriale in cui lei veniva spesso triangolata. Con la madre c’è da sempre un rapporto di amore/odio, parla di una madre da sui si è sempre sentita riconosciuta come una nullità, dalla quale è sempre stata svalutata e ancora adesso si sente svalutata come madre di Viola e Bianca.
Edoardo proviene da una famiglia in cui non si litigava ma neppure si condivideva, ha una madre forte, decisa, una madre che ha sempre comandato e forse, dice Edoardo, perché aveva un marito passivo, uno che non decideva.
Edoardo e Ginevra si scelgono perché ciascuno vede nell’altro quella sicurezza che a ciascuno di loro manca. Ginevra appare agli occhi di Edoardo come sua madre, forte, sicura e decisa. Ma anche Ginevra in Edoardo cerca le stesse cose. Entrambi si sentono delusi dalla parte debole dell’altro. Ginevra forse sperava che quella unione con Edoardo l’aiutasse a rompere quel cordone ombelicale con sua madre ma non solo non riceve questo aiuto, ma si trova invasa anche dalla suocera. “Non siamo mai stati una coppia” afferma Edoardo.
Ginevra non sentendosi abbastanza a posto come madre e poco riconosciuta in questo ruolo, inizia a delegare parte di questo al marito ma anche alle nonne delle bambine.

La separazione in questo caso rappresenta un tentativo di svincolo dalle famiglie di origine e il riappropriarsi del progetto genitoriale.

Settimo incontro: Edoardo, Ginevra e le bambine, Viola di sei anni e Bianca di tre.
I due genitori e le figlie entrano nella stanza. Il clima è sereno, tutti si parlano, si sorridono. I genitori sono affettuosi con le figlie che ricambiano le affettuosità.
Nella stanza ci sono tre sedie una accanto all’altra dove al centro si siede Ginevra e ai lati le figlie. Il padre resta in piedi e tutte e due le figlie, Viola e Bianca si dimostrano preoccupate e si attivano per la ricerca di un’altra sedia in cui far sedere il loro babbo.
Entra il Mediatore con una scatola di giochi che depone a terra al centro dellastanza.

Med 1: Ecco, io mi chiamo …
Viola: Io Viola
Bianca: Io Bianca
Med 2: Io …
Med 1 (rivolto ai genitori mentre le bimbe già giocano): Loro cosa sanno ?
Ginevra: Ho detto loro che venivamo ad incontrare delle persone che aiutano il babbo e la mamma a prendere delle decisioni.
Med 1 (alle bambine): Viola e Bianca, noi abbiamo bisogno di un aiuto da voi. L’aiuto è questo. Siccome noi vorremmo vedere il babbo e la mamma che giocano con voi, ma siccome a loro non riesce tanto bene giocare, vorremmo che voi li aiutaste…
Sono buoni a giocare?
Il babbo è bravo a giocare?
Viola e Bianca: Si, a nascondino!
Med 1: E la mamma?
Viola e Bianca: Si, con lei disegniamo!
Med 1: Oggi facciamo un gioco speciale. I grandi non sono tanto bravi, ci vogliono i bambini per giocare. Ve lo spiego, così sentono anche il babbo e la mamma. Potete giocare con tutti questi giocattoli: prima il babbo o la mamma, uno dei due, gioca con voi e quell’altro genitore è lì presente, poi, dopo qualche minuto si danno il cambio, poi sempre dopo qualche minuto si mettono a giocare tutti e due insieme a voi, poi dopo qualche minuto ancora loro si mettono qualche minuto a chiacchierare un po’ e voi giocate da sole. Noi (mediatori) torniamo dopo e ci dite come è andata.
Ginevra: Chi inizia?
Edoardo: E’ uguale, vai prima tu?
Ginevra: Ok

Ginevra si mette a terra a giocare con le figlie.
Bianca chiama il padre per unirsi a loro nel gioco.
Edoardo rimane al suo posto ma partecipa affettivamente ed in modo empatico al gioco senza però interferire e distrarre i bambini. Rispetta il suo compito che è quello di osservatore partecipante.
Ginevra gioca con le figlie e tutti sono molto coinvolti. Costruiscono una famiglia che si riunisce per festeggiare il compleanno di Viola. All’interno della casa non manca nessuno, c’è il padre, la madre, tutte le nonne e i nonni, gli zii, i cuginetti e tanti animali.
Dopo un inizio molto armonioso, si nota un certo stallo nel gioco, come se la situazione fosse bloccata e le bambine cominciano a manifestare una certa noia e stanchezza, che in realtà all’osservazione va registrato come un segno di disagio. Edoardo potrebbe entrare ma non lo fa; se ne accorge Ginevra e allora lo chiama in ballo.

Ginevra (ad Edoardo): Vuoi venire tu?
Edoardo (mentre sta per alzarsi): Vengo io, ma non so, aspetto 5 minuti, non so… (si rimette seduto).

Si sente la pesantezza di questo blocco. I bambini se ne rendono conto e fanno qualcosa: per es. Bianca porta dei giocattoli al padre, Bianca dice che si annoia. Edoardo fa trasparire la sua ansia e la sua emotività nello stare fuori e nel non sapere quando entrare per il cambio. E’ Ginevra che prende in mano la situazione che esprime con parole ma anche con il non verbale il desiderio che lui entri, proprio perché quellaindecisione la fa sentire inadeguata.

Ginevra (a Edoardo): Vieni, vieni!

Anche Ginevra nella parte del genitore in disparte partecipa emotivamente ai tre che giocano, senza interferire. Il gioco tra padre e bambini appare sempre molto coordinato. Padre e figlie nel gioco riprendono il tema della festa del compleanno di Viola e lo portano avanti, gli danno una continuità.
Nel passaggio falla fase 2+1 alla terza fase in cui tutti giocano assieme, Ginevra viene aiutata da Edoardo che mentre gioca con le bambine la invita ad entrare. Ginevra si siede per terra assieme agli altri e tutti quanti collaborano ad organizzare questa grande festa di compleanno di Viola.Siamo nella quarta fase. I due genitori cooperano tra di loro e sono centratisul compito mantenendo con i figli un rapporto di vicinanza emotiva ma questa fase sembra anche non voler mai finire. I due genitori continuano a giocare con le figlie e a dare continuità alla festa.

Med 1 (entra dentro la stanza per spegnere il condizionatore): Vi ricordate vero l’ultima fase qual è?
Ginevra: Bisogna allontanarsi?
Med 1: Quando volete

Comincia la quarta fase, Ginevra e Edoardo si siedono uno accanto all’altro a guardare Viola e Bianca, commentano i loro giochi e disegni che stanno facendo alla lavagna. L’attenzione di entrambi è diretta totalmente verso la genitorialità.
Rientrano nella stanza i due mediatori.

Med 1 (alle bambine): Che bel disegno! Ce l’avete fatta a farli giocare i vostri genitori e come se la sono cavata?
Viola e Bianca: Bene.
Med 1 (a Ginevra e Edoardo): E’ stato difficile?
Ginevra e Edoardo: No.
Med 1: Senti Viola, questi due ti preoccupano un po’, ti danno dei pensieri?
Viola: No.
Med 1 (alle bambine): Avete una cameretta assieme? E chi di voi due si infila nel lettone?
Viola: Io.
Med 1: Ci vai perché hai freddo oppure perché vuoi fare compagnia alla mamma?
Viola: Perché ho freddo.
Med 1 (ai genitori): Qual è stato il momento più difficile?
Ginevra e Edoardo: Non ce ne sono stati.
Med 1 (a Viola e Bianca): Devo dire che voi siete state molto brave.

Termina la seduta con il compito per le bambine da parte dei mediatori di rimettere a posto i giochi.

Ottava seduta: i mediatori con Ginevra e Edoardo parlano e rivisitanoalcuni passi della settima seduta videoregistrata.

Med1: A voi che effetto vi ha fatto l’incontro dell’altra volta?
Edoardo: Niente di particolare, erano cose che avevamo già vissuto anche se il giocare tutti e quattro assieme non succedeva molto negli ultimi tempi. E’ stato piacevole, anche per le bambine che sono state bene.
Med 1: E a lei Ginevra?
Ginevra: Quando mi trovo accanto a Edoardo mi sento sempre più inferiore come genitore. La sensazione è che lui sia più bravo, che sappia giocare con le bambine meglio di me, che sia più dolce di me con loro. Io invece ho sempre giocato il ruolo di quella che le brontolava, che faceva da mangiare, il babbo era quello che giocava, che quando scappava di mano la situazione veniva fuori con “Ginevra prendi in mano la situazione!” e io dovevo brontolare tutti…e ancora questo è rimasto dentro di me…. Quando siamo tutti e quattro assieme riconosco di sentirmi così.
Med 1: E come ci sta?
Ginevra: Male.
Med 1: E come le viene da reagire?
Ginevra: Alcune cose le vedo anch’io, per esempio quando lei (si riferisce a Med1) faceva delle domande a Viola, la bambina mi ha guardata come per chiedermi il consenso di parlare, come per dirmi: “Cosa faccio, rispondo?”, mi sembra sempre di giocare lo stesso ruolo, come se fossi un’educatrice e lui Edoardo la parte del divertimento…
Med 2: La parte autoritaria.
Ginevra: Si, esatto. Ho sempre avuto questa impressione e ancora ce l’ho…
Med 1: Le chiedevo cosa le viene da fare quando sente questo senso di inferiorità.
Ginevra: Mi metto da un parte, come ho fatto in questi anni. Probabilmente se non mi mettevo da parte le cose potevano andare diversamente. Mi tengo il mio ruolo di quella che comanda, che gestisce, che brontola, che fa da mangiare e basta…
Med 1: E sull’altro ruolo, del gioco, si tira indietro…Il fatto di tirarsi indietro, e mettersi un po’ da parte, dentro le fa venire più dolore, senso di incapacità, inadeguatezza, oppure la rabbia verso Edoardo?
Ginevra: Un po’ tutti e due. Un po’ di rabbia perché lui è riuscito in quello in cui io non sono riuscita.
Med 1: Quindi le rimane difficile capire quanto questo tirarsi da parte è dovuto alla funzione che lui l’ha obbligata ad avere e quanto invece è costretta da se stessa.
Ginevra: E’ una funzione che ho voluto anch’io… Altrimenti avrei tirato fuori il capo…
Med 1: Siamo in due, le funzioni sono sempre obbligate, anche lei Edoardo è stato un po’ obbligato ad avere la sua funzione… uno ha preso quella normativa e uno quella del gioco…
Edoardo: Io mi sono sentito, più che in obbligo, costretto…
Med 1: Nel senso di riparare, compensare…
Edoardo: Si.
Med 1: E’ la stessa cosa che ha detto Ginevra, si è sentita in obbligo nel compensare su quell’altro lato…
Ginevra: Io ora vedo che le bambine il fine settimana quando sono con me e telefonano al babbo, hanno sempre tante cose da raccontargli, sono felici di sentirlo… quando loro sono dal babbo e chiamo io, fanno fatica a venire al telefono, il padre le deve quasi obbligare. Quando chiamo io, sono considerata poco. E anche quando erano piccole succedeva che appena mi salutavano quando io uscivo per andare a lavoro…
Med 1: lei si porta dietro una zavorra che credo non abbia niente a che fare né con le sue figliole né con Edoardo. Io non so quando lei abbia cominciato a pensare di non essere abbastanza qualche cosa, abbastanza materna, abbastanza affettiva… e tutte le volte pensa che queste differenze siano dovute alle sue incapacità, che spesso si trasformano “è colpa di quell’altro”…queste cose se le sta portando avanti da vecchia data. Questo senso di inadeguatezza io credo fosse uno dei suoi timori, sospetti, una sua idea che ce l’aveva anche prima di fare i figli…e poi questo senso di inadeguatezza la spinge a tirarsi fuori dal gioco, per esempio a lasciare lo spazio a Edoardo. Quindi mi verrebbe di dirle che le sue figlie se la salutano tranquillamente quando lei esce di casa vuol dire che sono molto tranquille…il fatto che lei non sente questo rapporto con le figlie, è una cosa sua.
Med 2: A vedervi giocare assieme nella seduta precedente ho notato che le bambine si riferivano a tutti e due. Le bambine abbracciavano il babbo ma anche la mamma. Lei (Ginevra) era tutta lì per loro e questo si vedeva e si sentiva che loro lo sentivano…
Med 1: Abbiamo visto l’altra volta due bambine con due genitori che giocavano… poi ci sono degli aspetti che vogliamo farvi vedere; però nel contesto abbiamo visto che queste due bambine si riferiscono ancora a voi due come a due genitori nel senso che la vostra separazione non ha inciso sulla loro idea di famiglia e sulle funzioni genitoriali. Certo, con queste due differenze che sono caratteristiche della vostra famiglia, la parte più normativa, la parte più giocosa, quindi la prima cosa che volevamo restituirvi è che siete stati bravi a permettere un rapporto con i vostri figli così affettivo e vivo con entrambi. Per esempio sono due bambine che non hanno immagini distorte dell’uno e dell’altro: Le immagini che più vi fanno arrabbiare dell’uno e dell’altro siete stati bravi a tenervele per voi senza farle passare ai figli.
Ginevra e Edoardo confermano che hanno fatto di tutto per cercare di proteggere le figlie durante questa separazione.
Med 1: Viola e Bianca hanno chiesto qualcosa, voi gli avete detto qualcosa rispetto all’altra volta?
Ginevra: Viola ha chiesto quando tornavamo qui se doveva venire anche lei…mi è sembrata dispiaciuta quando le ho detto di no.
Si accende il video e si fa scorrere.
Med1: Vi ricordate la fase…la mamma sta giocando con le bambine e il padre è presente…Qual è la difficoltà di questo gioco? La difficoltà è che voi due dovreste mettervi d’accordo senza dirvelo, sapete che dovete cambiare fase ma nessuno vi ha detto come fare, siete voi due che dovete mettervi d’accordo. Come è che avviene l’accordo? Avviene perché ci sono una serie di segnali… di solito chi è seduto presente cambia posizione, lei Edoardo si era messo un po’ in avanti, era un po’ un annuncio, come dire “forse tocca a me, forse si può cambiare fase…”
Vedete, le bambine sono coinvolte nel gioco…
Ora questo è un altro annuncio da parte di Edoardo, interviene sul gioco dal suo posto. Il babbo si dichiara disponibile a partire però sta fermo, non parte!
Lei Ginevra, di quell’indugio, se ne è accorta e dice a Edoardo “vuoi venire, tocca a te” e Edoardo risponde “boh, non lo so, forse, non lo so”sta per alzarsi ma poi si rimette a sedere e dice “aspettiamo ancora cinque minuti”.
Ci sono poi alcuni minuti che passano e in cui non succede nulla, il gioco non va avanti, come se tutti e quattro foste ad aspettare qualcosa. Questa è una situazione bloccata, una situazione in cui di solito si osserva il disagio dei bambini. I bambini si rendono conto della situazione bloccata e fanno qualcosa.
Ci avete fatto caso poi come è avvenuto il passaggio? Ginevra ha detto a Edoardo “Vieni, vieni”, vale a dire in quella situazione in cui tutto è un po’ bloccato, Ginevra si attiva e ha risolto con “dai, vieni”.
Questa piccolezza è come se illustrasse un meccanismo che è un po’ presente, quello che dicevamo prima, le funzioni, chi risolve le cose mentre l’altro aspetta il suo turno ma ci indica anche un’altra cosa, che in questi vuoti in cui voi non decidete e non fate nulla per decidere, in questi momenti, in queste fasi, si può annidare il disagio probabile ed eventuale delle vostre figlie. Non che dovreste diventare decisionisti, per esempio c’è un problema oggi e va risolto immediatamente, ma neppure stare lì ad aspettare che l’altro faccia il primo passo anche perché poi va a finire che il primo passo lo fa sempre Ginevra perché lo sente come obbligo e come funzione e poi non è neppure contenta di sé di averlo fatto e lei Edoardo magari non è d’accordo su quel passo…Meglio sarebbe stato che la prima volta che Ginevra ha detto “tocca a te?” vi foste messi d’accordo…Se proprio non scatta automaticamente, non c’è quella sintonia per cui il passaggio si fa senza dirselo, possiamo decidere di mettere delle regole, per esempio decidiamo che ci scambiamo ogni tre minuti d’orologio, oppure che uno gioca con i figli finchè l’altro non decide di entrare e a quel punto appena entra l’altro esce, oppure si può decidere che la decisione la prende l’altro…sono regole che impediscono che i figli avvertono il disagio, che comunque in questa situazione è piccolissimo.
Med 1: Che effetto vi ha fatto rivedervi?
Edoardo: Mi vengono in mente cose del passato
Med 1: Nel senso di altre situazioni simili del meccanismo che dicevo io?
Edoardo: Si, del meccanismo che diceva lei.

Ginevra e Edoardo non hanno una relazione molto conflittuale, entrambi non impediscono ai figli l’accesso all’altro genitore e infatti i temi che emergono non sono tanto collegati alla conflittualità coniugale quanto al rapporto genitoriale. Ginevra ci parla del suo senso di inadeguatezza, del suo rapporto ancora di dipendenza dalla propria madre e della necessità di svincolo. Ci sono temi che ognuno di loro potrà portare in un altro contesto, più terapeutico per lavorarci sopra. Forse tutti e due devono separarsi dai rispettivi genitori e sostenere la loro responsabilità genitoriale, fare un salto generazionale e sostenere il loro progetto genitoriale.

Discussione

Questa tecnica fa sperimentare alla famiglia una situazione significativa per la loro attuale vicenda e può aiutare la ex coppia a riflettere sulle proprie difficoltà ma anche sulle proprie risorse, focalizzando l’attenzione sui figli, sui loro bisogni facilitando la creazione di un clima collaborativo e la possibilità di focalizzarsi proprio sulla responsabilità genitoriale per il raggiungimento di un accordo che sia rispettoso e tutelante per tutte le persone coinvolte.
Inoltre la videoregistrazione permette di osservare le eventuali alleanze e modalità riparative così poi da poter alla seduta successiva lavorare con la coppia genitoriale su alcuni punti e sulle loro percezioni esperienziali vissute durante le fasi del gioco. Permette inoltre alla coppia mentre guarda il video di allontanarsi e mettersi esterni rispetto a quanto vedono, così da poter assumere un punto di vista esterno, la possibilità che si apra una finestrella diversa che era rimasta chiusa finora, una possibilità nuova di riflettere su alcune modalità relazionali e anche di produrre cambiamento.
Questa tecnica permette al mediatore di comprendere i modelli relazionali di quella famiglia, utilizzandoli per guidare la coppia nel procedimento, dirigendo la loro attenzione su alcuni elementi che ritiene importanti. Evidenzia come ogni membro permette l’accesso dell’altro, come i genitori si organizzano tra loro nel passaggio da una fase all’altra (che è un po’ appunto la metafora di ciò che poi avviene durante la separazione) e come insieme affrontano l’eventuale disequilibrio che si crea nel bambino in questi passaggi. A volte essendo motivo di disputa tra i due proprio il diverso rapporto di ognuno di loro con il figlio, la partecipazione di quest’ultimo permette ai suoi genitori di osservare che, pur nella diversità, entrambe le modalità genitoriali risultano funzionali per i bambini e presentano punti di forza e di debolezza, la cui valutazione può ridurre la conflittualità, creando un clima di fiducia reciproca che permette la cooperazione e il raggiungimento dell’accordo, perché li rende consapevoli di avere un comune interesse, pur se gestito in modo diverso, il bene del bambino.
Ma in mediazione, a differenza di quanto avviene in ambito terapeutico, l’analisi delle modalità d’interazione familiare che avviene sotto la guida del mediatore, è affidata soprattutto alla coppia perché l’intervento deve tendere a restituirgli un ruolo attivo e di responsabilizzazione nella ristrutturazione della loro vita. Alla coppia genitoriale viene chiesto cosa ha provato, sentito, le sue difficoltà o meno su ciò che ha vissuto, su quanto è emerso dall’incontro con i figli. Insieme al mediatore che sostiene e favorisce questo processo di autosservazione, la coppia individua le proprie risorse e difficoltà.
La coppia si trova ad osservarsi e a metacomunicare sul piano genitoriale creando uno spazio, unico nel suo genere, per poter tornare a fare i genitori ed interrogarsi sul loro comportamento. E’ interessante notare che il rivedere permette di creare una connessione tra ciò che ognuno ha vissuto allora, ciò che ora vede e commentare, chiudendo poi il cerchio mettendo nel territorio di riflessione proprio della mediazione i tre vertici: il vissuto, il comportamento, ciò che io penso o compensato di te e di me, come pure ciò che tu pensi o hai pensato di te e di me.
Solo attraverso questo “crogiuolo” si entra nel desiderio del bambino, inteso come insieme di “appetizione”, e “funzione” e si riesce a cogliere, quindi, il significato che ha per lui la vicenda separativa e a cosa lui tenda per il futuro.
Se è vero che non c’è desiderio senza bisogno, il bambino “ri-visto” dai genitori (durante l’incontro in cui assistono alla videoregistrazione dell’incontro precedente), è un bambino che esprime dei bisogni, svolge e si adopera per una funzione e, di conseguenza, mostra, (inconsapevolmente o meno), ai genitori cosa “vorrebbe” da loro per stare nel miglior modo possibile.
Tutto questo ci sembra che vada al di là della sua “domiciliazione”, poiché supera la dicotomia o con me o con te; rimanda invece al bisogno di entrambi, alla necessaria modulazione delle difficoltà, dei genitori, per riparare ai disagi dei figli e alla indispensabile operazione di riconoscimento dell’altro come co-genitore.
La mediazione non può, per sua natura, esser una terapia, può semmai essere un’esperienza all’interno della quale, oltre che trovare accordi, sia possibile imparare una modalità e fare delle insight.
Ci sembra che usare immagini sulle quali interrogarci e confrontarci, sia un’esperienza che continua queste finalità.
Concludendo possiamo ribadire quanto il Lausanne Triadic Play sia uno strumento da una parte stimolante e suggestivo quanto dall’altra versatile ed efficace.
Infine, il Triadic Play, ri-visto dai genitori, offre un’esemplificazione di come la presenza e l’ascolto del minore nella Mediazione Familiare, oltre a riconoscere al bambino sia il ruolo di soggetto attivo nelle dinamiche familiari, che il diritto di ascolto e di partecipazione, sancito dalle norme legislative, rappresenta anche una valida tecnica che può essere utilizzata dai mediatori per aiutare la coppia al raggiungimento dell’obbiettivo di continuare a fare i genitori insieme.
Tale opportunità chiaramente dovrà essere valutata dal mediatore in ogni singola situazione nel rispetto dell’individualità di ogni storia personale e familiare.


Bibliografia

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  • Zorzi A. (1993) “Rituali di violenza giovanile nella società urbana del tardo medioevo” in O.Niccoli (a cura di) “Infanzie”, Ponte alle Grazie, Firenze, 1993

Note

1 P. Aries (1983)
2 D.Richter (1992)
3 A. Zorzi (1993)
4 P.F. Grendler (1991)
5 Se il coniuge convenuto non compare o se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i figli minori di età compresa fra i 12 e i 18 anni, e se lo ritiene necessario, anche in considerazione della loro capacità di discernimento, i figli minori di anni 12, e tenuto debito conto dell'opinione espressa da questi ultimi, dà, anche di ufficio con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse superiore della prole e nell'interesse dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a questo. Il presidente può sentire personalmente il minore, se del caso, in forme riservate, o anche attraverso altre persone o organi nella forma che riterrà più appropriata. Solo nel caso in cui il presidente ritenga che ascoltare il minore sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori dello stesso, può con provvedimento motivato, di cui farà menzione nell'ordinanza, decidere che il minore non debba essere sentito
6 Dell’Antonio A. M. (1990), De Leo G.; Dell’Antonio A.M (1987), V.Cigoli, G.Gulotta,G.Santi (1983), Francini G.; Pappalardo L.; (1994), R.de Bernart,; G.Francini;D.Mazzei; L.Pappalardo (1999)
7 Bogliolo C., Bacherini A.M. (1998)
8 Si veda a questo proposito: C.Giuliani; S.Benedetti (2002), Cigoli V. (1998)
9 Cigoli V., Galimberti C., Mombelli M. (1988)
10 Si riprende questa suggestiva immagine da un articolo di Montanari e Saccu (1992) a cui si rimanda.
11 in N.Abbagnano (1971) pag. 219
12 in N.Abbagnano (1971), pag. 422
13 A. Dell’Antonio (1990)
14 Lombardi R., Tafà M. (1988); Malagoli Togliatti M. (1998)
15 Ardone R., Mazzoni S. (1994); Bernardini I., Scaparro F. (1994); Buzzi I. (1992); Canevelli F., Lucardi M. (2000); Emery R.E. (1998); D. Mazzei (2002)
16 D. Mazzei (2002)
17 Per una descrizione dello strumento si veda: Fivaz Depeursinge E., Corboz Warnery A. (2000) Per una sua descrizione in ambito di Mediazione Familiare si veda: G.Francini; E.Gargano (2004)

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