14 apr 2007

FORMAZIONE IN MEDIAZIONE: UNA TECNICA O “SOLTANTO DELLE DOMANDE?”


Lia Mastropaolo

Psicologa, Direttore della Scuola Genovese di Formazione alla Mediazione Familiare, codirettore sede di Genova del Centro Milanese di TF, Coordinatore e docente al Master di Mediazione Università di Barcellona e di Palma di Majorca.mmfoscge@tin.it



Introduzione
I diversi contesti in cui ho lavorato, in Italia e in Spagna, mi danno l’occasionedi evidenziare differenze ed uguaglianze nelle formazioni che ho condotto nelpubblico e nel privato, nell’universita’ al Master o piuttosto nellalaurea Specialistica, nei due diversi paesi, Spagna e Italia. Agli inizi degli anni 80 ho iniziato a lavorare con le coppie in crisi pressoil Servizio Pubblico di Genova istituendo prima un Centro di Terapia Familiare,successivamente il “Centro di Mediazione” riconosciuto dalla ASL.A partire da questa esperienza nel ‘93 ho fondato la Scuola Genovese diMediazione Familiare a Genova dove, in questi anni, ho avuto allievi di servizipubblici e privati. Allo stesso tempo ho iniziato corsi di formazione in Spagnaad Oviedo in Asturias, a Barcelona al Master di Mediazione Familiare dell’Università AutonomaH. S.Pau, più sporadicamente all’Università Complutense diMadrid; in Italia a Biella, a Padova, per la ASL di Livorno con l’aperturadi quattro Centri pubblici nel territorio livornese e all’ Università diGenova come professore di Mediazione Familiare nella Laurea Specialistica connessaall’Università di Giurisprudenza. Il denominatore comune dei Corsi di Formazione è rappresentato dal fattoche gli allievi lavorano tutti in servizi pubblici o privati, ma le figure professionaliche i corsi accettano sono diverse (ad esempio sin dall’inizio in Spagnaerano accettati anche avvocati, cosa che solo ora è possibile in Italiaper la SIMeF). Anche i committenti dei corsi si differenziano notevolmente: così adesempio il committente universitario in Spagna mi ha affidato corsi di specializzazionenel Master post-universitario; a Genova l’Università mi ha incaricatoper l’insegnamento di Mediazione nel corso di laurea (questa già è unadifferenza non da poco). Questa committenza è diversa dalla committenzadell’ Ente Pubblico, o della Scuola privata o associazione di professionisti.A seconda del diverso tipo di committenza si vengono infatti a creare differentie variegati contesti formativi e possibilità di realizzazione degli interventisuccessivi. Ad esempio fare formazione per una ASL, come quella Livornese, hasignificato continuare il lavoro con la supervisione diretta dei casi e con laorganizzazione dei Centri specialistici di Mediazione. Contemporaneamente alla costituzione dei Centri è stata svolta un’attività dipresentazione del Servizio prendendo contatti e organizzando incontri, con gliavvocati, con gli operatori degli altri Servizi e con le Associazioni del Territorioe con i giudici dei Tribunali. Si è discusso con le differenti agenzieindividuando una metodologia comune per una possibile collaborazione. I Centridi Mediazione hanno assunto una diversa fisionomia a secondo della loro ubicazione,(nell’isola d’Elba piuttosto che nella città di Livorno),a secondo del contesto culturale, del tipo di gruppo degli operatori. Ad esempioil nascere in un contesto autonomo come a Piombino in un Centro polifunzionaledel porto, o accanto ad altri Servizi come a Livorno, ha determinato utenze ecollaborazioni diversificate. Queste diversità sono state confermate dall’analisidei dati sui casi seguiti. La Committenza Universitaria, al contrario, non si occupa di insediare nuoviservizi ma dà una maggiore specializzazione teorico- pratica nel Master(le famiglie vengono viste direttamente al Centro o attraverso i tapes degliallievi) o mira prevalentemente alla costruzione di un percorso teorico comenel corso di laurea.

Lo schema teoricodi riferimento
Secondo il modello della Scuola Genovese si differenziano con le coppie in crisi tre possibili interventi: Mediazione, Intervento per il Cambiamento, Terapia.

La mediazione
(Viene presentato un breve cenno. La metodologia specifica sarà trattata nel paragrafo: Punti chiave del modello Genovese).
La mediazione familiare è uno dei possibili interventi che si possono fare con la coppia in crisi. La mia esperienza nel campo dell’approccio sistemico mi ha consentito di ampliare il contesto e di considerare la tematica nel suo complesso: “coppie in crisi in caso di separazione e divorzio”. La metodologia è una conseguenza e dipende dalla domanda e dal percorso che la coppia ha deciso di intraprendere nella scelta della maniera di litigare. Infatti per quelle coppie che scelgono di litigare in Tribunale e delegano al giudice la risoluzione del loro conflitto, la conoscenza o la proposta dello strumento della mediazione risulta inappropriata rispetto alle loro attuali possibilità di un percorso diverso.
La Mediazione, come risaputo, è un intervento per la riorganizzazione delle relazioni familiari che nasce da una richiesta volontaria della coppia che ha deciso di separarsi. È vincolato dal segreto professionale e avviene al di fuori del circuito giudiziario.
Peculiarità del modello Genovese sono il lavorare con il conflitto “creando una 3° storia” che consenta di uscire dalla logica del colpevole e della vittima, di trovare accordi reali per la gestione della genitorialità, di dar voce ai figli per levarli dalla posizione di 3° nella coppia e di offrire un modello integrato di collaborazione con gli avvocati.

L’ “intervento per il cambiamento”
Nelle situazioni in cui non si può rispondere con un intervento di mediazione in quanto non c’è una richiesta volontaria, ritengo ancora valida e attuale la metodologia messa appunto negli anni ’80 a seguito di una ricerca impostata nel servizio pubblico con il mio gruppo di lavoro. Si tratta di un intervento specifico che ho chiamato “Intervento per il cambiamento” (Mastropaolo e altri "L'interazione Consultorio Tribunale. Strategie sistemiche operative" in Terapia Familiare n° 17 dell’85 Mastropaolo L. "Ridefinire la coazione: terapeuta sistemico e tribunale" in Ecologia della Mente n° 34 dell'89). Nel momento in cui il giudice mi chiede una consulenza o una perizia tecnica opero per trasformare un invio obbligato in un percorso che consenta ai genitori di riappropriarsi della genitorialità nonostante il vincolo dell’”invio coatto” e la delega data da loro inizialmente al giudice.
Tenendo in adeguata considerazione il contesto in cui si svolge l’intervento, (l’invio coatto, la mancanza di segreto professionale, l’alta conflittualità e la simmetria della relazione), riformulo di fatto insieme alla coppia, la richiesta del giudice cercando di ottenere la loro collaborazione su un lavoro finalizzato alla ripresa della genitorialità.
Questo percorso prevede un “ingaggio iniziale” che, pur difficile e complesso, nasce dalla consapevolezza dell’obbligo istituzionale (verbalizzato con enfasi al 1° incontro) per evolvere successivamente in un “patto” tra tecnico e famiglia, finalizzato ad un progetto comune che conduca a superare la conflittualità della coppia, ad avere attenzione per il benessere dei figli, per far sì che siano i genitori in prima persona a decidere su di loro.
All’interno di questa concezione viene definitivamente superata la finalità diagnostica per fare spazio ad una ridefinizione e riqualificazione delle relazioni familiari.
L’attuazione della metodologia “Intervento per il cambiamento” è stata resa possibile dalla collaborazione di alcuni giudici che di fatto sospendevano l'incalzante iter giuridico e restavano in attesa, dando a me e alla famiglia il tempo di lavorare, senza più entrare in merito al nostro lavoro o a quanto emergeva dai colloqui. La relazione o la perizia presentata in Tribunale consiste nella formulazione dell’ipotesi sistemica sulle relazioni familiari, ricostruisce il percorso di trasformazione che i genitori hanno realizzato negli incontri e si conclude con l’accordo definito e scritto da loro. Tale accordo viene presentato in sede giudiziaria dove trova un suo formale riconoscimento.
Così si è trasformata una consulenza al giudice in un "intervento per il cambiamento" della famiglia passando dall’ottica della perizia e della diagnosi all’ottica della trasformazione e della riorganizzazione delle relazioni familiari. (Mastropaolo L. (1998)“La mediazione familiare: l’esperienza della Scuola genovese” in “Comporre il conflitto” a cura di C Marzotto. e R. Telleschi ed.Unicopli).
In tale prospettiva i genitori diventano "attori" nella riappropriazione delle proprie capacità. Ciò vuol dire che la coppia in qualche modo arriva a non utilizzare più la funzione del Tribunale e mette in dubbio la delega di Giudizio, datagli precedentemente.
Nel caso in cui il percorso non si realizzi e la "tregua" non produca risultati né accordi, il tecnico dichiara la propria impossibilità e rimanda la decisione al giudice fornendo elementi di valutazione formulati in un’ottica sistemica.
Nel mio modo di pensare è importante che gli allievi apprendano non solo l’intervento di mediazione, ma anche a trasformare una consulenza al giudice in un “intervento per il cambiamento" della famiglia. Questo cambiamento di prospettiva situa i genitori in una posizione di “attori” permettendo loro di riappropriarsi delle proprie capacità, di prendere decisioni rispetto ai figli, di trovare accordi.
È importante che gli allievi apprendano a fare una differenziazione tra i contesti nei quali si realizza una separazione e sappiano rispondere coninterventi diversificati a seconda delle situazioni che si presentano.

“ La terapia”
A differenza della mediazione in cui si lavora con un obbiettivo specifico, la ridefinizione delle relazioni tra ex coniugi in vista della riassunzione della genitorialità, nella terapia, invece, si articola un campo di pensiero più libero tra famiglia e terapeuta, fuori da preconcetti di sorta, dove l'unica finalità è “lo star bene della famiglia”. La soluzione individuata dalla famiglia è originale e libera, non si situa in schemi predefiniti. Inoltre in terapia si lavora sulla spinta di una patologia affinché la famiglia trovi un’altra modalità di vita, rimettendo in discussione e cambiando modalità relazionali e individuali dei suoi membri. La differenza tra terapia e mediazione, quindi, sta nel fatto che la mediazione parte da un principio primo "è d'uopo fare un cambiamento culturale, la storia lo richiede", invece la terapia non si chiede qual è il cambiamento culturale che la gente deve fare, nè tanto meno si pone il problema di quale soluzione è opportuno che trovino le persone.
Nel lavoro di mediazione, a differenza della terapia, c'è un "pregiudizio" di fondo che é: "i bambini devono mantenere due genitori" e che "il conflitto degli ex coniugi va superato perché possano decidere assieme sul figlio". La relazione che si struttura è ben diversa dalla terapia. L'intervento di mediazione si pone la finalità di far superare il conflitto alla coppia che si divide affinché i due, pur separati, diventino "uniti come genitori". Nella modalità sistemica si lavora anche sulle premesse della coppia affinché ci sia coincidenza tra lo star bene individuale, di ex coppia e di genitori, accettando il fallimento delle premesse precedenti. È un modo per tutelare i figli, per trovare una soluzione etica che garantisca i diritti di tutti.
In sintesi in mediazione si lavora su una trasformazione, su una riorganizzazione della vita familiare che rientra però in un cambiamento del ciclo vitale della famiglia.

Feed Back degli Allievi
Per illustare la metodologia seguita nella formazione riporto alcuni commenti, frutto di discussioni fra allievi, che si danno spiegazioni sulla metodología di insegnamento e fanno commenti sullo stile che la Scuola ha nel fare mediazione familiare.

Sulla metodologia del corso:
ALLIEVA 1: (lamentandosi)“mi aspettavo un corso dove tu ci davi la tua “scienza” invece tu fai domande”.
ALLIEVO 2: ”Lei ci da’ stimoli, ci fa domande, da’ ”las pautas”, (la guida, la falsariga, le orme) per riflettere. Fa con noi quello che fa con le famiglie”; fa in modo che siamo noi a trarre le conclusioni, a scoprire l’epistemologia del modello e ad individuare il percorso di mediazione che Lei ha seguito; aspetta che siamo noi a connettere gli elementi e a costruire l’intervento sugli stimoli che ci dà”.
ALLIEVA 1: “ all’inizio ho provato una gran confusione, mi sembrava che quello che sapevo non mi servisse più, adesso, a poco a poco, mi accorgo che comincio a pensare con la mia testa”.

Sul lavoro con il conflitto:
Lo stile con le coppia: “li fai partecipare, e fai loro vedere la loro partecipazione, è uno stile poco direttivo; prima osservi poi deduci il tipo di relazione ed espliciti il modo di comunicare della coppia; tu non dai una soluzione, ma li metti in condizione che se la trovino da soli.
Tu sei diretta, a volte provocatoria, ma poi ottieni la complicità dei due, ognuno di loro cerca l’alleanza con te, tu costruisci la complicità con entrambi per cambiare il terreno sulla finalità comune: “come gestire assieme i figli”.
È difficile quello che fai; è “ Manejar el conflicto” senza entrare nel gioco della coppia (a differenza dalla terapia). Con la costruzione della 3° storia a due voci, usi quello che ti serve della storia di coppia e familiare solo per fare in modo che i due ritrovino stima e rispetto genitoriale”.
Fai uscire la rabbia; la rabbia si canalizza, tratti la rabbia, ma non entri nel gioco di coppia. Dando alla coppia il potere di decidere permetti di focalizzare l’attenzione sull’obiettivo Figli. Se non esce la rabbia non si può trovare equilibrio. (osservandoti è chiaro che esci dalla logica giusto- sbagliato, buono- cattivo ed è come se dicessi “qui ci sono dei figli che necessitano di un padre e di una madre”, la decisione è vostra se occuparvene o pensare solo alle vostre “beghe di coppia”.)

Sulla presenza dei figli al 1° incontro:
ALLIEVA 1: “non mi è facile pensare di lavorare con i figli specialmente se sono bambini; non c’è il rischio di strumentalizzarli?”.
ALLIEVA 2: “mi sembra da quello che abbiamo visto con questa famiglia è che i figli gia’ sapevano tutto, non hanno necessità di aprire la porta se sentono urlare nell’altra parte della casa, solo stanno comunicando ai loro genitori quello di cui già sanno e non è che, se il padre e la madre litigano in cucina, loro non sentono nella loro camera. Mi sembra che finalmente si gioca a carte scoperte e fuori dai sotterfugi: a vedere tutti assieme si sdrammatizza la situazione, si normalizza, e, con l’intervento finale, li liberi e li tiri fuori dal gioco di coppia. I genitori cambiano, si rendono conto da questo momento del 1° incontro che i figli sanno e che esistono”.

La metodologia usata nella mediazione
La metodologia usata si rifà al modello sistemico- relazionale, postmoderno.
Il Postmodernismo non è un modo di pensare che nasce ex novo; è piuttosto una tappa del pensiero umano che riflette sui processi soggettivi mettendo in dubbio il concetto di verità e di realta’ obiettiva. La prospettiva soggettivista introdotta dal postmodernismo nel modello sistemico lo ha arricchito con importanti elementi teorici e pratici, come la critica della posizione obiettiva del terapeuta, le domande circolari e riflessive.....avvicinandosi a temi rimasti in sospeso come il ruolo dell’individuo nei sistemi relazionali, il posto che occupano le emozioni, o la costruzione (Linares, Family Process).
Questa posizione è già stata assunta nel corso della storia da Socrate e da altri filosofi.
Un’espressione di questo modo di pensare è la maieutica: “l’arte di far dire all’altro, attraverso domande, il suo pensiero seguendo un processo logico e aiutandolo ad arricchirlo proprio attraverso domande”. Credo che questa sia una particolarità della Scuola Genovese di Mediazione, l’utilizzo di un modo di accrescere conoscenze, non dando risposte o soluzioni, esattamente come lamentava l’allieva nel suo commento sul corso, ma di favorire una forma di pensiero autonomo che deriva dall’introduzione della complessità, da un ampliamento del contesto e da una capacità di cercare in sé le risposte più utili. Il tentativo è di non insegnare ad avere una soluzione per ogni problema ma a pensare davanti ad ogni problema.
Si tratta di passare da una visione lineare causale dei problemi ad un’ottica circolare complessa; è in questo momento di cambiamento epistemologico che gli allievi incontrano una prevista difficoltà e si sentono confusi, perché la messa in discussione dei presupposti precedenti inevitabilmente provoca crisi. Spesso, in questa fase della formazione, si dicono disorientati e chiedono risposte e soluzioni e schemi di intervento.
L’attività formativa, alla luce degli obiettivi indicati, li sollecita a porsi delle domande e a cercare autonomamente delle risposte e, dopo averle trovate, a discuterle in gruppo.
Per questo nella metodologia che usiamo, viene data ampia rilevanza all’ipotizzazione, incoraggiando gli allievi a costruire ipotesi come strumenti provvisori, abituandoli a non “sposarle” e a rinunciare ai pregiudizi inconsapevoli.
Gli allievi osservano gli incontri di mediazione dietro lo specchio proponendo le loro ipotesi ed eventuali interventi e ne verificano sul campo l’utilità quando il docente li riporta nel suo lavoro con la coppia. Questo permette agli allievi di osservare e di osservarsi.
Per questo l’introduzione della formulazione di ipotesi, della circolarità e di domande triadiche riflessive, ecc. rappresenta una parte consistente della Formazione; attraverso questo metodo, “si apprende a pensare” non utilizzando un modello statico ma creando un contesto di apprendimento dove dal lavoro con le coppie come dalla maniera di far formazione si deduce il processo in termini di complessità.
Osservare ed osservarsi, conoscere e conoscersi sono livelli complementari del processo formativo indispensabili per chi debba poi operare nel campo delle relazioni umane.
Così nella formazione usiamo la maieutica per permettere all’allievo di liberarsi dai suoi schemi mentali e pregiudizi per poter costruire apprendimenti e conoscenze riconoscendo la complessità dei sistemi umani con le sue peculiarità e lo aiutiamo a trovare sue risposte originali, esattamente come nel percorso della mediazione, il mediatore introduce un processo di cambiamento che permetta al sistema “coppia coniugale con figli” di evolvere verso il sistema “coppia genitoriale”.
Non insegnamo tecniche o schemi per definire tappe di percorsi standards o interventi pedagogici, orientati al fare, ma cerchiamo di dare agli allievi una cultura del mediatore che sviluppi descrizioni, spiegazioni, teoria del far mediazione.
Come docenti in un processo formativo ci sembra utile agire sul substratum culturale provocando un cambiamento nel modo di pensare, affinché gli allievi sappiano costruire assieme alle Famiglie (biologiche, di fatto, inviate dal giudice, ricostituite, di immigrati, affidatarie, ecc.) (Fruggeri) un contesto dove si possa applicare lo strumento della Mediazione. Il percorso formativo che si è attuato nel tempo a partire dalla mia esperienza di lavoro come da quella dei docenti che con me collaborano, intende privilegiare il binomio: “Osservare ed osservarsi” al fine di stimolare negli allievi in formazione una acquisizione di conoscenza fortemente radicata sull’esperienza di “sé nella relazione”.
Tale percorso si concretizza nei seguenti principi che identificano il modello di formazione della Scuola Genovese:
· la visione positiva e contestualizzata o non colpevolizzante del conflitto
· la capacità di mantenere costante l’attenzione sui processi di relazione rispetto ai contenuti
· la capacità di mantenere attiva negli allievi la possibilità di auto–osservarsi attraverso una adeguata gestione della conversazione
· la capacità di mantenere una attiva osservazione di sé per riuscire ad aggiustarsi rispetto al processo relazionale in corso
Particolare rilievo viene, inoltre, ad assumere il lavoro sulla relazione docente - gruppo che utilizza il gruppo come spazio esperienziale al fine di stimolare una riflessione su quanto osservato con particolare attenzione al confronto tra le differenze individuali. Vengono in tal modo messi in atto processi auto riflessivi e non istruttivi di apprendimento. (Lia Mastropaolo, Andrea Mosconi “La Formazione in Mediazione come spazio esperienziale” relazione presentata al convegno SIMEF 01).

Strumenti didattici
La formazione si basa su una metodologia attiva che utilizza:
· Tapes editing preparati appositamente perché l’allievo in un tempo breve possa vedere i momenti più importanti e i passaggi più salienti del percorso di mediazione; è una sintesi degli 8/10 incontri del lavoro con la coppia.
· Tapes tematici che permettano, di fare un confronto attraverso spezzoni di tapes di alcune famiglie su un tema specifico. Può essere, ad esempio, un tape in cui compaiono diverse manifestazioni del conflitto in coppie differenti per storia, contesto di appartenenza e radici culturali, o sugli accordi al fine di analizzare diversi tipi di accordo in coppie differenti, o sul 1° incontro con i figli. L’uso di tapes facilita oltre all’acquisizione della cultura del mediatore anche il coinvolgimento diretto degli allievi.
· Simulate che permettano all’allievo di sperimentarsi nelle tecniche conversative tipiche della mediazione sensibilizzandosi agli aspetti impliciti delle diverse modalità di superamento del conflitto (lavoro sulla storia, la gestione della neutralità partecipe, l’utilizzo delle ipotesi, il lavoro sul futuro, ecc.) e di vivere in prima persona il percorso della mediazione.
· Films: la proiezione di films, interi o editing, opportunamente scelti per stimolare l’osservazione e la curiosità partecipe aiuta gli allievi a far emergere e acquisire consapevolezza delle emozione e dei pregiudizi propri e del contesto sociale.

Punti chiave del modello genovese

- 1 Metodologia di conduzione degli interventi
La conduzione dell’incontro prevede che il mediatore faccia chiarezza sulla finalità della mediazione, gestisca l’andamento della conversazione dando alternativamente la parola e garantendo l’ascolto reciproco. Mantenendo una neutralità partecipe fà emergere idee, emozioni e storie e aiuta la coppia a riconoscerle come proprie affinchè assumano una forma diversa.
Riporto i commenti di alcuni allievi sullo stile di far mediazione
“Fai delle domande aperte ma stabilisci pause di riflessione: usi un modo di dare forma all’inizio e alla fine degli interventi che definisce il ritmo dell’incontro; proponi un ritmo di esposizione e di discussione in cui la pausa è sottolineatura di certe affermazioni.”
“Li solleciti molto attraverso domande e c’è una attesa esigente da parte tua, “ non li molli”, non accetti risposte evasive, ma è come se tu li riportassi sempre al rispetto di un processo di definizione delle loro relazioni, chiedendo loro di essere precisi e rigorosi.”
Nel racconto della storia di coppia e familiare si riattiva la memoria del periodo in cui “le cose andavano bene” perché si rendano conto che c’e stato un pattern iniziale che li ha uniti. Non metter in dubbio la storia precedente favorisce il processo del riconoscimento e lo circoscrive, contestualizza la crisi e fa emergere una nuova narrazione circa il motivo della loro crisi di coppia che non affonda nel negativo, ma attraverso il recupero dei ricordi positivi ripristina il rispetto reciproco.
Un’altra caratteristica fondante è il rigore nell’attenzione al processo accanto alla massima libertà nell’esprimere i contenuti.
“Trai conclusioni attraverso la riformulazione “se lei dice questo...allora forse.” non c’e proposta di contenuto è come se dicessi: “vada avanti e veda cosa le viene fuori seguendo il suo tipo di pensiero”(messaggio implicito). Li aiuti a scavare nelle idee che si sono creati, inducendoli a fare connessioni. “ A volte notiamo che restano come sorpresi di quanto dicono, ma c’è comunque da parte loro la sensazione di essere molto liberi di esprimersi.”
“Lasci libertà nei contenuti ma stabilisci un vincolo nel processo che sono le tappe, le fasi che rispetti nella mediazione. Come se lasciassi cadere gli argomenti che non sono ancora maturi per non approfondire; è come se tu selezionassi gli argomenti attraverso il non evidenziarli.”
“Come se riportassi l’attenzione maggiormente su “quanto non è stato detto”; come nel negativo di una fotografia; come in un bassorilievo evidenzi anche le cose che sono dentro al bassorilievo quindi meno visibili; quello che danno per scontato, irrilevante, lo riporti alla luce, valorizzi l’ovvio su questo ci lavori subito”.
La tua conduzione utilizza pause e spazi vuoti, silenzi, uscite per sottolineare elementi importanti e per scandire il tempo della seduta in modo che abbia una struttura e non sia un andare a ruota libera.
Dinanzi ad affermazioni forti: “mia moglie ha l’amante da 4 anni” “mia figlia non mi vuole più vedere” è come se lasciassi depositare queste “bombe” nello spazio vuoto al centro del gruppo, come se tutti prima dovessero un po’ osservare questa cosa per darle una sua collocazione...come se tu le dessi poca eco al momento, per reintegrarla in momenti successivi più propizi in cui questo fatto trova una sua collocazione “ ma in quel periodo cosa succedeva?”.
L’uso di domande circolari, della neutralità, dell’essere curiosi, l’attenzione al processo evolutivo delle famiglie, sono strumenti di lavoro nella mediazione.


-2 Contro il conflitto o con il conflitto?

“Manejar el conflicto” senza entrare nelle beghe della coppia.
C’è un momento, ad esempio, in cui decidi di trattare il conflitto (in genere verso il 2° o 3° incontro con la coppia) in un tempo preciso che stabilisci tu, dopo aver lasciato loro il tempo di decantare. Per questo riesci solo a toccarlo, ad utilizzare solo quegli aspetti del conflitto che possono essere utili a un lavoro di mediazione, ponendo al contempo delle possibilità di rapida uscita dal tema. Ci rendiamo conto che è diverso dalla terapia.
Tanto si parla di affidamento congiunto e di elaborazione di accordi dei genitori, ma come si costruisce questo spazio genitoriale?
Alcune scuole centrano l’attenzione sugli accordi ed evitano di far venir fuori il conflitto.
Dal nostro punto di vista il superamento del conflitto rappresenta il fulcro dell’intervento di mediazione in quanto i genitori riescono a costruire accordi reali sui figli solo dopo aver trovato un accordo di fondo: “SIAMO D’ACCORDO CHE SIAMO D’ACCORDO”.
Questo semplice modo di dire, in realtà rappresenta un processo che implica un cambiamento delle premesse epistemologiche e della maniera di leggere la realtà da parte della coppia.
Quando ci si separa ognuno si autoconferma nella propria testa una storia che giustifica e rinforza la propria posizione, una storia dove l’altro è irrimediabilmente colpevole e che conferma se stesso nelle proprie emozioni e nelle proprie ragioni “ Il malvagio è l’altro”.
L'interruzione dell’idea di avere un progetto comune provoca sofferenza.
In genere i genitori arrivano in mediazione offuscati dalla rabbia; rivendicazioni e rancore definiscono un alto livello di conflittualità che si centra sulla conclusione della storia di coppia. Non si ascoltano. Le narrazione individuali invadono e annullano l’area genitoriale.
Se la premessa era “ staremo uniti tutta la vita”, quando la relazione di coppia si impoverisce, le aspettative sono disilluse, la coppia entra in crisi e il conflitto si manifesta sul gioco della responsabilità “sei tu il colpevole del fallimento della nostra storia”. Si perde il filo della matassa, e non ci si domanda ”come siamo arrivati a tutto questo e come mai siamo in crisi!”.
Il conflitto emerge dalla discrepanza tra l’idea originaria di coppia: “noi, mai ci separeremo”, l’impossibilità di funzionare ormai come coppia, e l’idea, (accettata culturalmente ma poco emotivamente) “possiamo separarci”. Non c’è corrispondenza tra l’originaria idea di coppia e la realtà della convivenza. Questo produce il sentimento del fallimento.In molte situazioni, per di più, la storia di coppia si confonde con la storia della famiglia. Nell’immaginario della coppia, le relazioni sono confuse con le identità: è persa la differenza tra l’idea di se stesso (self), di individuo, di individuo nella coppia, e di genitore. Nella crisi della separazione, è come se si verificasse una confusione in cui non è permesso distinguere tra sé nella fine della relazione di coppia, e il permanere di sé come individuo, come genitore.
È difficile separare la storia coniugale dalla storia genitoriale e finchè il gioco è quello di attribuirsi la colpa non sarà possibile che l’altro appaia come figura positiva di genitore e, quando si fa la guerra, ognuno cerca i suoi alleati fino a formare due eserciti fatto di amici, parenti e, poi avvocati e giudici.
Per questo, per me è importante “manejar el conflicto”, questo significa toccare, entrare nella storia di coppia quel tanto che basta per uscire dal ginepraio del binomio ragione-torto, buono- cattivo, vittima-colpevole.
“Manejar” non è “trabajar” lavorare in maniera approfondita sulla loro storia ma è trattarlo in modo circoscritto e finalizzato a ripercorrerla quel tanto che è sufficiente a trovare un comune significato affinché riescano a costruire assieme un’altra storia in cui al posto della colpa ci possa essere il riconoscimento dei motivi e delle esigenze che hanno portato alla separazione.
Il mio lavoro consiste nell’aiutarli a costruire questa 3° storia dove le necessità, i sentimenti, i pensieri dei due trovano un’integrazione in un’unica storia, raccontata a due voci dove le due storie personali si integrano, mentre si fa chiarezza di come si sono allontanati e hanno smesso la relazione di coppia. Solo a questo punto si crea uno spazio mentale per i figli perché ognuno può vedere l’altro come qualcuno da rispettare e su cui contare come genitore affidabile.
Come dice Maturana ”le soluzioni al conflitto non sono razionali ma emozionali” Seminario Etica y Epistemologia Barna 1996.
Il riconoscimento delle differenze, il recupero della stima come genitore apre le possibilità della collaborazione per avere come prospettiva i figli e guardare al futuro.
Il tempo è il futuro ma deve essere reso osservabile, per costruire un futuro individuale, con la possibilità di una nuova coppia con anche nuovi figli ma salvando della famiglia di partenza i legami affettivi.
Solo a questo punto del processo di riorganizzazione delle relazioni familiari si configura come un nuovo sistema in evoluzione e si recupera la storia evolutiva di famiglia separata che cambia le forme delle interazioni familiari, senza dissolverle e definisce in modo diverso.

Attraverso il grafico riportato sotto, cercherò di dare, con i limiti di uno schema, una rappresentazione della necessità di agire in mediazione su un cambiamento di premesse. Come si osserva dal grafico abbiamo tracciato due assi. L’asse verticale indica la connessione tra le premesse della coppia e i conseguenti comportamenti. Nell’asse orizzontale è tracciata la linea del passato -presente -futuro.
Come emerge dal riquadro superiore di sinistra la conflittualità si situa nell’area del passato.e si perpetua per le aspettative deluse della relazione di coppia, Le premesse di colpevolezza e responsabilita alimentano il conflitto e, la conseguenza è che “non c’è posto per i figli”. Come si evidenzia dall’asse centrale che demarca il passaggio dal conflitto all’accordo si esce dal gioco delle responsabilità cambiando le premesse. Nel riquadro superiore destro sono indicate premesse differenti: “le storie possano cambiare”, “la storia di noi come coppia è finita”, “i figli stanno bene se i genitori stanno bene”, che determinano “SIAMO D’ACCORDO” e come conseguenza si riapre uno spazio mentale di disponibilita’ per i figli. Ci si muove sulla linea del presente e del futuro e, nell’accordo è possibile una ridefinizione di sé come individuo e come genitore.

- 3 Partecipazione dei figli: quando e perchè?
L’obiettivo è che la coppia riesca a comunicare sui figli per arrivare ad un accordo reale.
Invito al primo incontro non solo tutti e due i genitori ma anche i figli, spesso coinvolti nelle beghe di coppia, per liberarli dalla posizione di “chi stà in mezzo al conflitto e di chi è triangolato”. Agli incontri successivi lavoro solo con la coppia.
Invitare i figli, definendo che si parlerà in loro presenza solo di quanto emergerà da loro stessi, permette ai bambini di verbalizzare dinanzi ai genitori e con un mediatore (che può eventualmente mitigare) le tensioni che stanno vivendo in famiglia o in maniera poco chiara, o in un conflitto diretto e aperto. Permette inoltre ai genitori di ascoltarli e rendersi conto di ciò che sanno della vicenda separativa, di rispondere alle chiarificazioni che chiedono. Interessanti sono i commenti che fanno i bambini, anche piccoli, sulla situazione che stanno vivendo. Spesso genitori che mi avevano comunicato telefonicamente "i nostri figli non sanno niente, non litighiamo dinanzi a loro" restano esterefatti circa il grado di conoscenza della loro separazione.
Chiedo poi ai genitori di raccontare la loro storia di coppia e di famiglia in presenza dei figli. È così che i bambini riescono a distinguere tra un "prima e un dopo". "I rapporti tra i genitori, rotti allo stato attuale, non sono sempre stati così conflittuali". L'utilizzo di un discorso storico della famiglia introduce continuità e senso di evoluzione, recupera la possibilità di un futuro accordo su un passato comune e fa intravvedere al figlio il "filo conduttore" delle sue relazioni familiari.
In sintesi dedico ai figli il 1° incontro in un clima colloquiale:
· Per valutare la risonanza che ha sui figli la separazione dei genitori
· Per un effetto di risonanza che ha sui genitori quanto i figli dicono e verbalizzano nell’incontro di mediazione
· Per conoscere il contesto familiare nel quale si produce il processo di separazione
· Per l’ idea di evoluzione della famiglia, per introdurre un discorso storico della famiglia e che tiene conto della continuità in senso evolutivo
· Per dare informazione ai figli. Infatti nelle conclusioni dell’intervento finale definisco i genitori come persone che fanno, per il benessere dei loro figli, una scelta responsabile e rispettabile: quella della mediazione invece della lite in Tribunale. Li libero dal continuare ad occuparsi del conflitto dei ”grandi” ora che i genitori hanno deciso di usare lo spazio della mediazione per discutere e mettersi d’accordo su di loro.
Per questi motivi dedico al lavoro con i figli uno spazio particolare sia nell’intervento che nella formazione.

-4 La mediazione globale-integrata
La scelta è di fare una mediazione globale, garantendo al massimo la famiglia, con un intervento a due voci che assicuri la migliore professionalità sia nell’ ambito degli affetti che dei diritti: significa avere a disposizione un mediatore che più specificatamente si occupi degli aspetti emozionali e relazionali assieme ad un mediatore con formazione legale che si occupa dei diritti e degli aspetti patrimoniali.
La Mediazione globale - integrata non implica necessariamente una condivisione degli stessi spazi operativi, ma nemmeno la esclude.
La scelta della sede fatta dai clienti determina la forma di collaborazione, è diverso se il 1° incontro avviene in uno spazio comune o in uno studio di avvocato o in un Centro di Mediazione. Ne è esempio l’esperienza portata avanti da 3 anni nello Spazio Famiglia di Genova- Recco dove in veste di mediatore insieme con un avvocato esperto in mediazione gestiscono il 1° incontro con le coppie per spiegare le finalità della mediazione, le alternative possibili, per valutare e decidere quale sia l’intervento prioritario in base alle richieste. Si dividono successivamente compiti e competenze mantenendo una collaborazione continua in cui sono possibili interventi congiunti per riunirsi in fase finale per uniformare il lavoro o per compattare l’accordo. In questo caso vi è un processo armonico dove le professionalità si alternano o si integrano, accompagnano la coppia senza invadere le sfere degli affetti e dei diritti e senza sostituirsi alla coppia, aiutata a mantenere un protagonismo nelle scelte.
Ci sono coppie in crisi che si rivolgono in prima istanza all’ avvocato che fa una valutazione sulla base delle problematiche esplicitate e definisce con il cliente le varie possibilità; può intervenire con gli strumenti legali a sua disposizione o, conoscendo lo strumento della mediazione e ritenendolo utile per un rafforzamento della genitorialità, può proporre l’invio a un mediatore.
Alcune coppie in crisi si rivolgono direttamente al mediatore e sarà allora questi, o durante o a fine del proprio intervento, a inviare all’avvocato per garantire la sede del rispetto dei diritti e per dare rilevanza giuridica a ciò che hanno deciso in sede di mediazione in base ad una logica affettivo-relazionale.
È importante per la definizione del percorso la fase in cui la coppia decide di chiedere l’intervento di un mediatore. Quando la coppia si stà separando e si presenta in una fase in cu iI conflitto non ha innescato un meccanismo di logica processuale è più facile definire le priorità negli obiettivi da ragggiungere e iniziare con un intervento di mediazione: gli aspetti patrimoniali possono venire affrontati in un secondo tempo.

- 5 I diversi contesti della mediazione
Il lavoro nei servizi pubblici o la formazione di operatori che hanno a che fare con realta’ complesse mi ha portato a ritenere che in alcuni casi prima di proporre un intervento di mediazione è necessario costruire contesti che lo rendano possibile.
L’ottica sistemica implica l’attenzione al contesto con il lavoro di rete, la conoscenza del sistema legale, (avvocati e Tribunale) e dei sistemi allargati familiari e istituzionali.
Tutti noi siamo chiamati a intervenire in contesti sociali sempre più complessi. Molte volte mi sono trovata a lavorare in contesti diversi in cui ho dovuto costruire uno spazio finalizzato a sviluppare un percorso di mediazione che ha rappresentato l’ultimo anello di un processo più complesso. Ne è esempio il lavoro con immigrati nell’ambito dell’ interculturalita’, di mediazioni di vicinato, tra famiglie affidatarie e biologiche e in casi di mediazione penale.

Verifica di un cambiamento nel modo di pensare degli allievi
In formazione vengono facilmente fuori i pregiudizi sull’ idea di famiglia e di separazione che hanno gli allievi. Questi pregiudizi influenzano la relazione mediatore-coppia genitoriale e la condizionano. È spesso necessario lavorare sui “pregiudizi”, e sulle premesse del gruppo di lavoro perché possano facilitare e rispettare con un atteggiamento neutrale le scelte della coppia.
Nei corsi, in Italia come in Spagna, chiedo agli allievi di compilare un questionario sull’idea di famiglia, di separazione, di divorzio nella fase iniziale e finale del corso. Durante la formazione l’alunno cambia le idee iniziali: in genere prima del corso identifica la separazione come fine di un rapporto arrivando a considerarla, a fine corso, come una trasformazione delle relazioni familiari. Non c’è una fine ma una maniera diversa di concettualizzare la famiglia.
Il questionario a inizio e fine corso permette di verificare se vi è stato un cambiamento nel modo di pensare degli allievi e quindi non un apprendimento di tecniche ma un modo nuovo di pensare e di analizzare i fatti.

Conclusioni
Fare formazione non è insegnare tecniche, ma provocare un cambiamento di premesse in ogni allievo nel suo modo di pensare, di essere, di leggere le situazioni. Questa premessa definisce un mediatore come qualcuno che ha un substratum culturale, una epistemologia di riferimento che gli permette di lavorare con la famiglia affinché il processo di cambiamento emerga in loro stessi e negli interventi che fanno. Si tratta quindi di alimentare in maniera prioritaria un modo di pensare, di essere, lasciando che le tecniche vengano fuori come una conseguenza.
Il presupposto fondamentale è avere rispetto per la responsabilità degli altri sulla propria vita; è lavorare con le risorse personali, le capacità e singolarità. È tenere presente cultura, contesti differenti, origini, costruzioni e modi sociali. È ottenere che le persone coinvolte aumentino il numero delle alternative di scelta (V. Foerster) recuperando le proprie capacità, nel vivere la genitorialità, nella relazionemediatore-famiglia, come nella relazione docente-allievi.


Bibliografia

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  • Fruggeri L(1999) ”Famiglie Dinamiche interpersonali e processi psicosociali” ed Carrocci
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  • Mastropaolo L. (1989) “Ridefinire la coazione: Terapeuta sistemico e Tribunale” Ecologia della Mente, 18.
  • Mastropaolo L. (1999) “La mediazione familiare: l’esperienza della Scuola genovese” in “Comporre il conflitto” a cura di C Marzotto. e Tedeschi ed.Unicopli, Milano
  • Mastropaolo L. (1999) “Interculturalità, lavoro di rete e mediazione familiare. Pensare sistemico in contesti che cambiano” in Connessioni n°4
  • Maturana (1996) “Seminario Etica y Epistemologia” Barna
  • Tomm K. (1985) “Circolar interviewing: A Multifaceted Clinical Tool, in D.Campell, R. Applications of sistemic Family Theraphy: The Milan Approach, Grune and Stratton, London

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