14 apr 2007

MEDIAZIONE FAMILIARE E DEONTOLOGIA PROFESSIONALE: RIFLESSIONI IN PROGRESS

Francesco Mazzei

Avvocato civilista del Foro di Salerno Bruno Schettini Didatta dell'Associazione Internazionale, Mediatori Sistemici, Isppref di Napoli e Salerno


Con il recente inserimento, da parte del CNEL, della figura del “mediatorefamiliare” tra le professioni emergenti è nata l’esigenzadi procedere ad un inquadramento normativo di essa in senso ampio, nel qualee attraverso il quale l’esercizio di questa nuova professione possa svolgersiin modo adeguato sia sotto il profilo della delineazione degli ambiti specificidi intervento, sia sotto quello della formazione del mediatore e sia sotto ilprofilo della tutela delle parti sociali ad essa ricorrenti. Fin dal suo apparire in Italia, trent’anni or sono, proveniente dall’esperienzanordamericana ed europea1, la mediazione familiare ha iniziato il suo progressivopercorso di accreditamento nel panorama delle scienze sociali, psicologiche egiuridiche del nostro Paese, attraverso l’elaborazione dei suoi paradigmidi riferimento teorico, del suo contenuto, delle tecniche di intervento oltreche del suo ambito di applicazione. Alla specificità del suo contesto scientifico – in particolare diquello psico/pedagogico e psicoterapeutico – nel quale la mediazione familiareha avuto e continua ad avere una particolare attenzione in termini di elaborazioneteorica ed applicazione pratica, ben presto si è avvertita l’esigenzadi estendere la riflessione al ruolo che la mediazione familiare può edovrebbe avere nelle procedure giudiziali di separazione e divorzio. Senza entrare nel merito di un tema particolarmente delicato e spinoso qual è quellodell’individuazione degli apporti che le singole scienze dell’uomo – inclusoil diritto – hanno inteso fornire all’elaborazione del concetto dimediazione familiare, in questa sede ci si limita ad osservare che tanto il dirittoquanto la mediazione attengono ad una dimensione costitutiva del vivere umano:quello della socialità e dell’integrazione reciproca. Vi è,però, una differenza: il Diritto interviene attraverso un complesso dinorme e di istituzioni finalizzato a disciplinare lo svolgimento della vita sociale(o della polis) e delle relazioni tra gli individui (ubi societas, ibi jus),inclusi i rapporti che avvengono all’interno del sistema matrimonio/famiglia;in quest’ultima categoria, i bisogni fondamentali dell’individuoquali completamento della personalità, scelta di un partner, procreazione,difesa ed educazione della prole, ricevono dal diritto particolare attenzionee tutela soprattutto in riferimento all’interesse più debole (p.e.:la prole, la donna inoccupata, ecc…). La mediazione familiare, invece, interviene, in generale, in presenza di un conflittosorto all’interno di un particolare sistema di relazioni umane affiancandosiin modo complementare – dal punto di vista della tecnica di gestione delconflitto – alla funzione normativa del diritto e qualificandosi come unastrategia particolarmente attenta al conflitto come evento paranormativo e comerisorsa per la crescita di quei sottosistemi genogrammaticamente2 risalenti adun dato sistema familiare, una volta che quest’ultimo abbia esaurito quellafase del suo ciclo vitale3. Ad esempio, con riferimento specifico al sistema matrimonio/famiglia, può accadereche l’esistenza di ostacoli alla compiuta realizzazione dei bisogni fondamentalidell’individuo, oggetto di particolare tutela da parte del diritto, soprattuttocon riferimento alla “parte debole”, finisca per diventare oggettodi perturbazione e di conflitti fra i coniugi e/o fra tutti i componenti il sistemafamiglia particolarmente laceranti. La mediazione familiare si colloca all’interno del delicato e, spesso,incolmabile spazio che, con riferimento al contesto legale/giudiziario dellaseparazione e del divorzio, può essere riassunto nel binomio “conciliazione/contenziosogiudiziario”. E’ qui che prende il via la proposta di mediazionequale offerta di relazione d’aiuto e transazione negoziale, dal momentoche la domanda di aiuto è finalizzata a) alla riorganizzazione della vitafamiliare o individuale in caso di separazione/divorzio, ma anche b) alla produzionedi atti revisionali relativi cioè ad obblighi concordati e da assumerereciprocamente, coordinati e finalizzati fra di loro, i cui effetti, una voltaomologati in sede giurisdizionale diventano veri e propri atti giuridici la cuiinottemperanza costituisce reato perseguibile d’ufficio (p.e.: il sottrarsiall’obbligo del mantenimento) o a querela di parte (p.e.: l’impedimentoa frequentare la prole posto in essere da parte del genitore affidatario). Chesi tratti di una procedura transattiva lo chiarisce bene l’art.1965 c.c.quando nel definire il contratto che ne discende (accordo di separazione/divorzio)lo cesella come quel “contratto con il quale le parti, facendosi reciprocheconcessioni, pongono fine a una lite già cominciata e prevengono una liteche può sorgere tra di loro”. In effetti, l’attività di mediazione, nei casi di separazione edivorzio, consiste in una relazione d’aiuto psico-pedagogico4 la cui modalità proceduraledi tipo comunicativo-relazionale, è finalizzata alla stipula di un veroe proprio negozio giuridico o contratto (atipico)5 implicante accordi di consensoreciproco all’interno di diritti oggettivi e soggettivi, così comemodulati dalla manifestazione di volontà di due (o più) persone;manifestazione di volontà alla quale l’ordinamento giuridico ricollegagli effetti giuridici voluti (separazione/divorzio e obblighi assunti) da chila emana. La diversità precipua della mediazione sta nel fatto che essanon è un arbitrato, né un compromesso, né un negoziato eche il mediatore insiste prevalentemente sulla sfera del libero convincimentoe/o di autodeterminazione delle parti sulla base di una struttura motivazionaledella interazione di coppia di tipo cooperativo ovvero sulla nozione di equilibrionon cooperativo o “equilibrio di John Forbes Nash” (nome del premioNobel che l’ha teorizzata in ambito economico)6. Per questi motivi, negli ultimi anni, si è discusso sempre più dellanecessità di un inquadramento normativo della materia anche nell’ambitodei conflitti coniugali e familiari che avvengono nel contesto della separazionee del divorzio7 e, in tale direzione, vanno le proposte di riforma del dirittodi famiglia con riferimento sia al diritto sostanziale che a quello processuale(p.e.: gli artt.185 e 706 c.p.c.). Alle proposte di riforma, in corso di elaborazioneda parte del Parlamento Italiano, si affiancano già importanti riconoscimentinormativi nazionali (cfr: Legge 28 agosto 1997, n.285. art.4; Legge 8 novembre2000, n.328. art.6 commi 2a e 3a e artt.16 e 18) e regionali (Regione Toscana,Legge 3 ottobre 1997, n.72; Regione Valle d’Aosta, Legge 27 maggio 1998,n.44; Regione Liguria, Legge 9 settembre 1998, n.30). Tali interventi legislativi consentono di inquadrare la mediazione familiarein un contesto culturalmente innovativo, pedagogicamente emancipativo e socialmenteapplicativo nel senso che sono volti a conferire, nel caso in specie, autonomarilevanza funzionale alla mediazione familiare all’interno della proceduragiudiziale di separazione dei coniugi. I risultati sino ad oggi conseguiti, nonsembrano però ancora sufficienti a conferire alla pratica di mediazioneun’autonomia funzionale all’interno della procedura giudiziaria già richiamata.Quanto indicato dal CNEL è solo l’inizio di un percorso che, attraversoriflessioni ed elaborazioni anche di natura giuridico/normativa, deve condurread un effettivo radicamento e pieno riconoscimento della mediazione familiaretra le professioni intellettuali, al pari delle altre autonome pratiche e figureprofessionali, consentendo così la costituzione o il riconoscimento degliattuali Albi e delle norme deontologiche delle associazioni professionali a ciò deputate.Al pari delle professioni intellettuali tradizionali, anche la mediazione familiarein quanto attività avente natura e contenuto intellettuale si fonda, daun lato, su di una serie di valori cognitivi e tecnici assolutamente propri ecaratterizzanti, dall’altro presuppone l’esistenza di un rapportodi natura fiduciaria (intuitu personae) tra il mediatore familiare e la coppiain crisi. L’opera o il servizio intellettuale resi dal mediatore familiarecoinvolge una serie di valori ed interessi costituzionalmente garantiti che attengononon solo alla sfera del singolo individuo (riservatezza, informazione, responsabilità)ma anche ad un sistema più ampio (ad es. la famiglia e, in ultima analisi,la collettività). Il corretto ed equilibrato svolgimento della prestazioneresa dal mediatore familiare sulla base di un rapporto fiduciario con l’utente-coppia,richiede che essa soddisfi una serie di requisiti a priori rappresentati dalleregole deontologiche, da standard di qualità, da un sistema di controlloe da figure specifiche di responsabilità, tali da consentire l’esattoadempimento dell’obbligazione di mezzi e non di risultato, quale è appuntola prestazione resa dal mediatore familiare8. A tale riguardo, occorre positivamente rilevare come sin dall’inizio, l’esigenzadi ricorrere ad un sistema di norme autodisciplinari sia stato sensibilmenteavvertito dalle associazioni che praticano la mediazione familiare in Italia.Tra le più significative, si intendono qui ricordare l’A.I.M.S.(art.6 dello Statuto e artt.1,4,5,6,7,8,10 del Codice deontologico); l’A.I.M.F.(artt.14.15.17 lett.e, e 18 dello Statuto) e la S.I.Me.F. – AssociazioneGe.A (Codice deontologico del m.f. in materia di separazione e divorzio). E’ utilericordare anche la “Carta Europea sulla formazione del m.f. in materiadi separazione e divorzio”, del 1992 che, all’art.4, p.II, richiamail Codice deontologico dell’A.P.M.F. (Association pour la promotion dela mediation familiale). A tale Carta si rifanno l’A.I.M.S. e la S.I.Me.F.e tutte le Associazioni che aderiscono al relativo Forum Europeo. Ad un esame comparativo del contenuto degli articoli sopra richiamati, i puntisalienti che caratterizzano i principi deontologici dell’agire del M.F.possono essere così sintetizzati: · definizione del ruolo della Mediazione familiare rispetto alle proceduredi separazione e divorzio (artt.2 e 9 del C.D./APMF; art.14 n.2 dello StatutoA.I.M.F.; C.D./S.I.Me.F., art.2 del C.D./Ge.A.; art.1 C.D./A.I.M.S.). · professionalità e formazione del M.F. (art.4 C.D./APMF; artt.15-17e art.18 lett.f dello Statuto A.I.M.F.; C.D./S.I.Me.F; art.3 del C.D./Ge.A; art.4del C.D./A.I.M.S.; art.6 lett.d) dello Statuto A.I.M.S.); · confidenzialità (art.6 C.D./APMF; art.18 lett.c) dello StatutoA.I.M.F.; C.D./S.I.Me.F.; artt.5 del C.D./Ge.A.; art.6, lett.b) dello StatutoA.I.M.S., art. 6 del C.D./A.I.M.S.); · integrità, imparzialità e decoro (art.5 C.D./APMF; art.18lett.d) dello Statuto A.I.M.F.; C.D./S.I.Me.F.; art.4 C.D./Ge.A.; art.6 lett.a)dello Statuto A.I.M.S., art.5 C.D./A.I.M.S.); · responsabilità professionale (art.10 C.D./APMF; art.18 lett.f)dello Statuto A.I.M.F.; artt.6 e 10 C.D./A.I.M.S.). Emerge, come dato formale comune, il fatto che tali “principi” sonocontenuti in Statuti associativi e nei rispettivi Codici deontologici; ne consegueche, dal punto di vista della loro validità e vincolatività neiconfronti dei singoli associati, occorre fare riferimento alle norme generalipreviste dal codice civile in materia di associazioni riconosciute (artt.14 ess. E art.36 e ss del c.c.). In entrambi i casi, una volta che sono stati rispettatii requisiti formali e sostanziali richiesti dalle norme costituzionali quantoda quelle civilistiche sui limiti dell’autonomia negoziale per contrarietà anorme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume nonché allestatuizioni contenute nell’art.18 Cost., le norme contenute nell’attocostitutivo e nello statuto, oltre che nel codice deontologico, sono da ritenersivincolanti nei rapporti interni tra gli associati, poiché essi determinano “idiritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione” (art.16c.v. e art.36 comma I c.c.) con la conseguenza che il singolo associato possaessere estromesso dall’associazione allorquando sussistono “gravimotivi” (art. 24, comma III c.c.) consistenti in un grave inadempimentodi carattere patrimoniale o personale. Ulteriori spunti di riflessione in merito alle linee guida di un futuro codiceautodisciplinare o deontologico del M.F. possono derivare dalle norme del c.c.in materia di professioni intellettuali (artt.2060 e ss. c.c. e art.2222 c.c.ed artt.2229 e ss. c.c.) e di contratti (artt.1427 e ss. e art.1745 c.c.), dalcodice di procedura civile in tema di consulenti tecnici ed ausiliari del Giudice(artt.61 e ss. c.p.c.), dal codice penale (art.200 c.p.) e di procedura penale(art.622 c.p.p.) in tema di segreto professionale nonché dalla legislazionespeciale in tema di riservatezza (Legge 31 dicembre 1996 n.675, Decreto Lgs.n.467/2001).Su quest’ultima parte, tuttavia, ci si riserva un ulteriore approfondimento.

Note

1 A questo proposito, cf: Parkinson L. (1987), Separazione, divorzio e mediazione familiare, Erickson, Trento 1995 e Marzotto C., La mediazione familiare in Europa: modelli di pratica e formazione, in “Politiche Sociali e Servizi”, in “Vita e Pensiero”, n.1 (1994).
2 Cf: Delle Donne A., Tre generazioni a confronto: il genogramma nella ricerca e nella pratica clinica, in “Rassegna di Psicologia e Sociologia”, n.1-2 (1989), pp.1-24
3 Sull’argomento, cf: Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia, il Mulino, Bologna 2002, in part. cap. IX, pp.145-171
4 Cf: Schettini B., La mediazione familiare come «pratica» psicopedagogia, in “Rassegna di Servizio Sociale”, a.XXXVII, n.1 (1998), pp.40-67 e, dello stesso A., “Vi dichiaro separati…”: note per un modello pedagogico di mediazione familiare, in “MinoriGiustizia”, n.1 (1998), pp.61-79.
5 In ordine all’ampio tema della negoziabilità tra i coniugi in crisi, si ritiene utile ricordare una celebre monografia in tema di contratto ove si afferma: “Necessità pratiche e progresso civile esigono che, de iure condendo, e, per quanto possibile, de iure interpretando, si rivalutino questi patti regolatori di rapporti di famiglia, o associativi, e così via”, aggiungendo che, “guardando lontano, si potrebbero immaginare scelte patrizie della regola sulla dissoluzione del matrimonio, sul governo della famiglia, sul cognome dei coniugi” in Sacco R., Il contratto, in Trattato di diritti civile, diretto da Filippo Vassalli, Utet, Torino 1975, pp.493 e ss. Altra autorevole dottrina ha ritenuto l’ammissibilità di negozi aticipi anche nell’area degli interessi non patrimoniali con riferimento ai patti che possono accompagnare il divorzio o la separazione (ad es. patti relativi all’educazione dei figli, alle modalità di visita o di soggiorno con il genitore non affidatario). Sul punto Cf: Rescigno P., Manuale di diritti privato italiano, Jovene, Napoli 1975, pp.274. Occorre comunque rilevare che: “la giurisprudenza, dal canto suo, ed in particolare, quella di legittimità, si è andata evolvendo, specie negli ultimi anni, in senso vieppiù negativo circa il potere dispositivo delle parti in merito ai diritti di ordine patrimoniale connessi all’allentamento e allo scioglimento del vincolo matrimoniale” in Oberto G., I contratti della crisi coniugale, Giuffrè, Milano, 1999, pp.63-64.
6 Cf: voce: Nash, equilibrio di, in “Enciclopedia Garzanti dell’Economia”, Garzanti, Torino 2001.
7 Sull’argomento, cf: Salaris G., La mediazione in Italia: l’individuazione dei differenti ambiti normativi e le nuove prospettive di intervento legislativo, in Pinna S. (a cura di), Cultura e pratica della mediazione, Atti del III Congresso Mondiale di Mediazione, Edizioni Istituto Carlo Amore, Roma 2000, pp.496-500.
8 Un primo contributo sul tema del rapporto fra mediatore e coppia genitoriale è quello di Scaparro F., Etica della mediazione familiare, ricognito in Ardone R., Mazzoni S. (a cura di), La mediazione familiare. Per una regolazione della conflittualità nella separazione e nel divorzio, Giuffré, Milano 1993, pp.55-61.

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