14 apr 2007

PER UNA STORIA DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE


Costanza Marzotto

Mediatrice familiare, Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia, Università Cattolica di Milano socio fondatore S.I.M.e.F. costanzam@tiscalinet.it

Premessa

I bisogni individuali e comunitari all’origine della nascita della mediazione sono un oggetto da esplorare con attenzione per contribuire alla definizione di questa nuova pratica professionale con le famiglie nella difficile transizione della separazione e del divorzio.
Ritengo infatti che l’azione mediativa con cui un terzo equidistante dalle parti, faciliti due contendenti nel raggiungimento di accordi buoni per loro e per i soggetti implicati nel conflitto, sia una prassi da sempre esistente nelle nostre civiltà, ma che recentemente abbia ritrovato uno spazio proprio indispensabile per fronteggiare necessità nuove soprattutto all’interno delle famiglie, per la gestione dei conflitti legati alla separazione dei coniugi e ai litigi tra le generazioni1.
In particolare il ricorso ad un luogo apposito in cui una persona appositamente preparata2, un “traghettatore” (Cigoli, 1998, pag. 49) favorisce il passaggio da una condizione relazionale critica ad un'altra, sembra corrispondere ad un bisogno di autodeterminazione delle persone e da una ricerca di senso relativamente alla vicenda di coppia, di assunzione di responsabilità, di voglia di comunicazione negli adulti.
Se una contesa si sviluppa tra persone non coinvolte da relazioni significative, può esitare nella vincita di una parte nella perdita dell’altra senza particolari conseguenze per la loro vita quotidiana, ma nel caso di una diatriba tra genitori che decidono di separarsi o tra parenti in occasione di un’eredità, è un evento che necessita non solo di una soluzione positiva relativamente all’oggetto del contendere, ma abbisogna di un esito che protegga il legame inteso come prezioso bene relazionale che sappiamo essere risorsa fondamentale per la crescita dei soggetti, per l’identità stessa delle parti in causa. Come afferma JP Bonafé Schmitt, il modello giudiziario di risoluzione delle controversie, fondato sulla contrapposizione degli interessi, mal si adatta a trattare questo tipo di contenziosi familiari (2003).
Cercherò in questo mio scritto di individuare le tappe essenziali della storia della mediazione familiare, nominando gli eventi chiave, i soggetti coinvolti, (dimensione interattiva) ma altresì tenterò di fornire una lettura del significato relazionale di questi cambiamenti, alla ricerca del senso di un processo che come un’onda montante (Bastard- Vonèche, 1989) sta positivamente invadendo l’Europa e il mondo in questi ultimi trenta/quarant’anni nel campo della regolazione dei conflitti dapprima solo di coppia, successivamente anche tra generazioni, nelle istituzioni e nelle comunità.
La mia proposta – ben consapevole che non tutto potrà essere ricordato - è quella di percorrere la vita della mediazione familiare in un’ottica generativa, ovvero individuando padrini e madrine del nuovo istituto ai quali riconoscere il patrimonio teorico ed esperienziale messoci a disposizione negli anni e annotando come “eventi critici” alcune date di convegni, di pubblicazioni di testi, di avvio di servizi, di promulgazione di leggi in Italia e all’estero.
Il mio tentativo sarà quello di riconoscere i bisogni fondamentali ai quali questo intervento professionale ha cercato di dare risposta (a volte anticipando la domanda stessa!): bisogni degli operatori psicosociali, dei magistrati e dei legali, bisogni degli adulti e dei minorenni coinvolti, ma anche bisogni della comunità sociale, ancora non del tutto noti ai soggetti interessati.
Nella complessità di questi trent’anni di storia, possiamo individuare diverse “alleanze interdisciplinari” alla base dell’evoluzione della mediazione: all’inizio troveremo un forte legame tra mediazione e operatori del sociale e della legge, successivamente i sostenitori della mediazione sono stati i genitori - in Francia ad esempio soprattutto i padri - (e di nuovo oggi sembrano tra i paladini più convinti di questa modalità di gestione del conflitto nella separazione), e in un altro periodo la mediazione è maggiormente praticata dai clinici della famiglia: quale può essere il senso di questi ondeggiamenti?
La mia ipotesi consiste nel riconoscere una sensibilità spiccata in alcune categorie professionali che aggiungono alle proprie competenze di base quella negoziale propria della mediazione e che contagiano via via altri settori così che essa si diffonde come una via creativa per affrontare i conflitti e viene applicata alla luce di paradigmi teorici differenti e dando vita a modelli diversi di mediazione3.

La mediazione anticipa una domanda familiare?

Mi sento di sostenere, in estrema sintesi, che la mediazione prima ancora che ai bisogni di continuità genitoriale dei figli - motivazione che va per la maggiore e che sembra “commuovere” i legislatori e l’opinione pubblica - o al bisogno di difesa degli interessi della parte debole, spesso la madre (ma oggi anche il padre), è posta in atto come strumento clinico offerto dal corpo sociale a supporto di transizioni critiche del corpo familiare.
Per questo mi preme evidenziare alcuni dei bisogni delle nostre famiglie e della nostra comunità ai quali essa tenta di rispondere, affinché la mediazione non venga introdotta nel nostro ordinamento come uno strumento moralistico o panacea di tutti i mali, come nuova forma di controllo sociale.

Bisogno di ritualità.
Quando quindici anni fa mi accingevo a scrivere su questi temi (Marzotto, 1988/89), si sosteneva che la mediazione era diventata necessaria nel nostro paese perché il tentativo di conciliazione esperito dal magistrato nell’udienza presidenziale, appariva inadeguato frettoloso e insoddisfacente per tutti gli attori coinvolti.
I confliggenti uniti da rapporti familiari non potevano accontentarsi dei pochi minuti davanti al giudice per valutare l’opportunità/bontà/rischiosità della separazione e degli accordi: una domanda diffusa era quella di poter accedere a tempi e spazi appositi in cui poter compiere il rito di dé-mariage, come lo chiamerà poi I. Théry (1998). Anche P. Arensi in un suo recente contributo sembra ritrovare nella mediazione, molti effetti positivi propri della ritualità che si ottengono in mediazione e che vanno ben oltre la semplice risoluzione dei conflitti ed il risultato concreto sintetizzato nell’atto legale della separazione consensuale” (2002).
Gli effetti positivi della mediazione sembrano infatti connessi agli specifici aspetti rituali (ad esempio la presentazione delle regole4, la sottoscrizione del contratto) messi in campo da tutto il percorso ed è proprio il lavoro sul confine, lo spazio lasciato al rito di passaggio che favorisce l’elaborazione simbolica, l’assunzione di responsabilità genitoriali nel momento del taglio coniugale5.

Bisogno di giustizia e di degiuridicizzazione:
Questa necessità è oggetto di grande controversia con il modo dei legali in quanto più che un bisogno è visto come un rischio, quello di imporre a tutti i costi una consensualità anche laddove il contenzioso è utile, anzi necessario per la uscita dal conflitto di coppia. Rimandando ad altri scritti alcune riflessioni in merito, condivido con alcuni colleghi, l’ipotesi che la mediazione rappresenta un’alternativa valida ad una sorta di “deriva giustizialista” (ovvero al ricorso al giudice per conflitti che in altre epoche venivano affrontati da soggetti intermedi presenti nel tessuto sociale) e ci tengo a precisare che i conflitti inerenti le relazioni di parentela – oltre agli oggetti regolabili con il diritto – sono caratterizzati da una notevole dimensione “affettiva” e pertanto non possono essere trasformati con la sola applicazione della norma, ma necessitano di tempi e luoghi idonei alla loro evoluzione. Come scrivono Scabini e Cigoli, i conflitti familiari hanno bisogno di essere contenuti nella loro dimensione distruttiva, necessitano di essere affrontati in sedi idonee per manifestare la loro dimensione generativa (2003).

Bisogno di prevenzione del disagio minorile.
Ebbene si, anche a questo serve la mediazione, per prevenire i problemi connessi alla delinquenza minorile sempre più presenti tra le giovani generazioni a causa dell’assenza del secondo genitore, per la mancanza della dimensione normativa impersonata dal padre – assente nell’universo di molti giovani dopo cinque anni dalla rottura del legame di coppia (cfr. Cigoli, 1998). Sembra infatti da numerose ricerche che l’interruzione dei legami generativi (legami gratuiti e la relativa mancanza del senso di appartenenza alle due stirpi), sono alla base di comportamenti antisociali e autolesionisti di numerosi figli di famiglie spezzate, ovvero di giovani che “non sentono” più la voce del padre.

Bisogno di fare l’esperienza del perdono, nel senso dell’assunzione su di sé della responsabilità della rottura del patto:
Recenti studi hanno messo in evidenza che la qualità della vita passa attraverso l’apprendimento di quel costrutto sempre più raro nelle nostre famiglie che è il per-dono, nel senso etimologico del dono gratuito, del riconoscimento dell’altro (padre e madre, fratello,…) come portatore di aspetti positivi, al di là del conflitto. A coloro che si occupano di separazione e divorzi appare sempre più evidente che in occasione del divorzio o di un litigio per un’eredità, si corre il rischio di contaminare con la rabbia, la delusione, la sfiducia tipici del conflitto, tutta la relazione che aveva a suo tempo portato a compiere scelte procreative o solidaristiche.
Attraverso la ricerca che qui propongo, si potrà riconoscere un itinerario comune a tutti i paesi in cui ad una fase di immissione di un modello di mediazione attraverso la trasmissione da parte di un maestro, seguirà l’apertura di servizi pubblici universalistici, la costituzione di associazioni di categoria, con la successiva formalizzazione o meno in un albo professionale (con meccanismi propri di ammissione e controllo sulla formazione e la pratica) e la pressione sulle istituzioni per la promulgazione di una legge sulla mediazione nel codice della famiglia.
Nei fatti due sono le situazioni esistenti A) quella in cui la mediazione è praticata come una nuova professione e B) quella della mediazione intesa come una competenza aggiuntiva ad un’identità professionale certa, preesistente e prevalente.
Su questo tema il dibattito è acceso e la storia offre certamente un utile contributo ad un dilemma ancora aperto!

La prima generazione:
gli esordi degli anni ’70-’80

L’alleanza tra organismi di volontariato, i servizi sociali e i legali: l’esperienza inglese;
Lo scontento degli avvocati americani: la prassi negoziale dal mondo del lavoro entra nelle relazioni familiari
In Europa il 1974 viene riportata come la data di nascita della nuova pratica di “conciliazione” di cui in Inghilterra si definisce lo scopo e la differenza con la re-conciliation nel Rapporto Finer6 e che viene messa in atto da Lisa Parkinson, assistente sociale presso i servizi per la tutela dell’infanzia al Tribunale di Bristol.
Nel 1978 essa fondò il primo servizio pubblico National Family Conciliation Council in accordo con l’Associazione degli Avvocati di diritto di Famiglia allo scopo di incoraggiare la collaborazione tra genitori divorziati e si impegnò in un progetto sperimentale che prevedeva il coordinamento tra enti pubblici, privati e volontariato (le Charity Associations). Anche allora si verificarono scetticismo e preoccupazione da parte dei legali, ma ben presto questi sentimenti furono superati da una collaborazione intensa e da “un flusso reciproco di persone dall’uno all’altro specialista7” (Parkinson, 2003, p. 21).
Negli Stati Uniti, dove già nel 1939 era stato istituito il Los Angeles Conciliation Court per la tutela dei diritti dei minori, della famiglia e dell’istituzione del matrimonio (sic!); si parlava di mediazione in modo ambiguo - come ancora oggi capita di sentire - cioè di un percorso per la ri-conciliazione delle coppie e non per una “regolamentazione amichevole” dei loro conflitti! Solo successivamente infatti sarà esplicita la finalità di mettere fine al rapporto di coppia e minimizzare gli effetti negativi della separazione sulla famiglia, mettendo a tema della negoziazione le questioni relative ai figli e al patrimonio (Bérubé L.- Lambert D., 2000).
Come pionieri della mediazione, cioè come coloro che per primi hanno sperimentato questa risorsa e ne hanno de-scritto le peculiarità si è soliti citare l’avvocato e psicoterapeuta O. James Coogler e l’esperto negoziatore del mondo del lavoro John Haynes. Il primo, reduce da una drammatica esperienza personale8 di separazione coniugale incontrò personalmente ad Atlanta The Bridge, un luogo di incontro per famiglie divise istituito per opera di Griffin, Santos e Pemberton, tre consulenti familiari per coppie in via di separazione o divorziate che ascoltavano le persone all’interno di un contesto extragiudiziale alla ricerca di soluzioni pacifiche dei conflitti coniugale. Il ponte viene costruito “per connettere ciò che attiene alla sfera del privato (il versante dei sentimenti) e ciò che appartiene alla sfera del pubblico (il versante dei diritti e dei doveri regolamentati giuridicamente9)”.
Nel 1975 O.J. Coogler diede vita alla Family Mediation Association, avviò la rivista Family Mediation, per dare spessore scientifico a questa nuova pratica e nel 1978 uscì il suo manuale, “Structured Mediation in Divorce Settlement: an Handbook for Marital Mediators” e nei dieci anni seguenti nacquero oltre trecento associazioni tra mediatori, ad indicare sia l’interesse per questa nuova pratica, ma altresì una tentativo di difesa dei diritti degli individui coinvolti nel conflitto – clienti ed avvocati compresi!
Il secondo John Haynes (morto nel 1999) fu il fondatore della Academy of Family Mediatiors di cui è stato presidente tra i 1981 e il 1985 ed introdusse nella gestione delle controversie familiari alcune tecniche utilizzate nel mondo della mediazione nelle imprese, proprie del problem solving, e della negoziazione ragionata, quali il brainstorming.
Nel 1978 dopo anni di impegno nella formazione degli assistenti sociali e dei consulenti familiari, scrive un importante contributo in cui delinea il ruolo del family mediator10, e nel 1981 esce il suo manuale in cui sono ben delineate le fasi del processo, i compiti degli attori coinvolti e l’intreccio con il contesto sociale e legale. Questo testo insieme al suo autore, fa il giro del mondo all’interno di corsi di formazione (in Quebec a partire dal 1982 è chiamato a fare il formatore nel progetto pilota del servizio di mediazione alla Corte Suprema di Montreal) e in Europa a partire dagli anni novanta11.
Sarà la California ad introdurre nel 1981 nel Codice Civile la mediazione come passaggio obbligatorio per esaminare i bisogni dei minori coinvolti nel divorzio prima dell’udienza in tribunale.

Nel 1984 prenderà avvio la sperimentazione quebecqoise dopo una formazione impartita da Haynes ad operatori sociali impegnati con le famiglie divise, per porre rimedio alla solitudine delle madri affidatarie e alla frammentazione dei legami familiari. Nel 1985 Linda Berubé aveva fondato e presiedeva l’associazione tra professionisti AMFQ (Associazione Mediatori Familiari Quebec), che permetteva la doppia appartenenza, all’elenco della professione d’origine e a quello dei mediatori.
Non appare ancora esplicitamente la finalità della mediazione come “strumento per la cura dei legami sociali e tra le generazioni” – risorsa per la comunità intera – come apparirà più evidente nel ventennio successivo quando in Canada e in Europa le tecniche della negoziazione ragionata /integrativa si coniugano con la cultura latina e la filosofia relazionale.
Ripercorrendo le tappe della storia ricordiamo che fu nel 1978 in Canada che H.H. Irving e M. Benjamin avviarono a Toronto un Progetto per offrire la counciliation alle coppie in rotta, con la finalità di umanizzare la procedura giuridica del processo di separazione, nella speranza di delineare nuove vie alternative alla semplice ricerca del “miglior genitore” o del colpevole della crisi di coppia!
In Quebec la legge di introduzione della mediazione N.65/1997, propone a tutti i genitori che decidono di separarsi di essere informati sull’esistenza di un percorso extragiudiziario preliminare all’udienza in Tribunale. Gli accordi presi in mediazione saranno poi registrati dal magistrato. La finalità sembra essere chiaramente quella di coinvolgere il genitore non affidatario (nella maggioranza dei casi il padre) affinchè sostenga anche economicamente la prole! La seduta informativa obbligatoria e le cinque sedute gratuite presso uno dei 900 mediatori accreditati – in cui padre e madre definiscono il regime dell’affidamento e l’ammontare dell’assegno di mantenimento per i figli, rispondono ad un bisogno reale e drammaticamente urgente di coinvolgere entrambi i genitori – anche non sposati – nell’allevamento dei figli e nella prevenzione dell’impoverimento delle famiglie monogenitoriali. La prima grossa ricerca condotta in Quebec negli anni ottanta da Richardson, mira infatti a dimostrare che laddove i genitori hanno preso accordi in prima persona al di fuori del percorso giudiziale, rimangono più coinvolti nella relazione con i figli rispetto a coloro che scelgono la via tradizionale12. Su questa sperimentazione il Governo vigilerà per molti anni grazie ad un Comitato di Valutazione che ha presentato interessanti risultati e proposte di modifica nel Congresso Internazionale di Montreal nel settembre 200313.
In quel periodo in Francia a seguito di uno storico corso di formazione in Quebec nel 1988 - al quale parteciparono assistenti sociali, psicologi, avvocati, magistrati e genitori delle associazioni genitori divisi, provenienti dal Belgio, Svizzera, Spagna, Portogallo, fu fondata a Parigi nel 1988 la APMF, Association pour la Promotion de la Médiation Familiale (la cui prima Presidente fu Annie Babu14), organismo finalizzato alla diffusione della cultura della mediazione presso gli addetti ai lavori e in collaborazione con le Associazioni familiari15.
Sempre nel 1988 a Ginevra per iniziativa dell’Associazione Parent for ever international, che aveva sedi anche a Balles, Friburgo e Neuchâtel si svolse uno storico Congresso internazionale al quale parteciparono genitori, politici, magistrati, operatori psico sociali proveneienti da Belgio, Olanda, Gran Bretagna e Svizzera tedesca, con l’obiettivo di sostenere un’opinione sempre più diffusa che si rimaneva entrambi genitori anche dopo la rottura del vincolo del matrimonio o alla fine della convivenza.
Dal punto di vista relazionale osserviamo una dinamica etica in atto tra i fondatori di questa pratica professionale: si tratta di persone già da tempo impegnate nei procedimenti di divorzio, alla ricerca di nuovi strumenti nella consulenza legale, nell’indagine sociale o nella perizia. L’esperienza personale di alcuni e la coscienza professionale di altri, hanno messo in atto creativamente metodi e strategie più idonei ad accompagnare il gruppo familiare in questa difficile transizione in cui sono coinvolti non solo i membri del corpo familiare, ma l’intera collettività e in cui la delega all’autorità legale risultava inefficace per l’obiettivo di mantenere gli impegni presi - anche consensualmente - davanti al giudice.
Accanto al gruppo di assistenti sociali, consulenti tecnici d’ufficio ed avvocati si muovono verso il modello mediativo di intervento con le coppie in via di separazione o divorziate un certo numero di psicanalisti, terapeuti familiari o di coppia di diverso riferimento teorico: negli anni ottanta saranno pubblicate oltre oceano i testi della F. Kaslow (1984), psicoterapeuta affermata che aveva delineato le fasi del processo di separazione, di H.H. Irving e Benjamin cui si è accennato sopra (1987), e in area francofona nel 1989 escono i numeri monografici delle due principali riviste relative ai temi del famigliare: “Le groupe familiale”, la rivista dell’Ecole des Parents et des Educateurs e “Dialogue”, la rivista dell’AFCC, l’associazione dei consulenti familiari.
Mi preme segnalare oltre ai contributi di molti degli autori sopra citati, l’articolo interessante di Martinière, Nerisson e Robinet (1989), in cui apparve chiaramente che la mediazione corrispondeva ad una risorsa nella difficile transizione personale e gruppale della separazione e che questo terreno era già battuto dagli psicoterapeuti, che avrebbero dovuto ben presto riconoscere le differenze e le peculiarità di questi due diversi ambiti di lavoro (su questo dibattito sempre molto attuale, cfr. Parkinson L. e Marzotto C., La differenza tra mediazione familiare e terapia, in “Tavola Rotonda” V, 1/2002, p.7).

La seconda generazione: il boom degli anni ‘90

La domanda dei genitori e delle associazioni familiari: l’alleanza tra i diretti interessati, gli psicoterapeuti e i periti.

Già nel 1981 Roussel individuava un “transfert parziale del potere giudiziario verso istanze esterne”, in particolare di tipo psicologico" (p. 90) denotando così l’avvio di un processo inarrestabile di ampliamento di queste istanze extra giudiziarie per la soluzione dei conflitti connessi al famigliare, non senza resistenze e scandalo da parte di alcuni rappresentanti del mondo legale che paventano una pericolosa concorrenza.

Nel 1991 i Centri di mediazione in Francia si organizzarono in un Comitato Nazionale delle associazioni e dei servizi di mediazione familiare, attualmente denominato Fenamef, Federazione Nazionale della Mediazione Familiare con funzioni di coordinamento, per garantire un’omogeneità di prestazioni. Interessante è ricordare come in questo paese nello sviluppo di questa pratica, ricorrano due fenomeni interessanti: da una parte il forte coinvolgimento delle Associazioni familiari come soggetti parte in causa nell’approntare servizi per genitori in difficoltà e dall’altra - secondo una tradizione napoleonica – molto attive sono le pubbliche amministrazioni. A partire dal 1994 l’ente pubblico ha avuto una forte funzione promotrice delle nella diffusione dei servizi di mediazione, avendo individuato in questa risorsa anche una fonte importante di “risparmio economico” a fronte dei crescenti costi sociali per la seconda casa, nella banlieue parigina. L’APEC Association pour le l’enfance et le couple ad esempio stabiliva convenzioni con i Comuni per garantire alcuni giorni alla settimana la presenza di un mediatore. Dalla prima indagine condotta in Francia da B. Bastard e L. Vonèche (1990)16 emerge un ruolo centrale svolto da organismi come la CNAF (Caisse Nationale des Allocations Familiales) e l’UNAF (Union Nationale des Association Familiales) sia nel sostegno finanziario che nella diffusione della pratica della mediazione familiare.
Nel 1990 a Caen in Francia si verifica il primo Colloque internationale in Europa sulla mediazione familiare organizzato dall’APMF in collaborazione con l’Associazione Don Bosco, al quale partecipò anche l’Italia. Fu un’ importante occasione di confronto tra i modelli anglosassoni e quelli latini, ovvero tra una pragmatica risolutiva e un’esperienza alternativa di transizione al di là della separazione.
In Germania la mediazione vede muovere i primi passi nella seconda metà degli anni ottanta, quando un gruppo interdisciplinare ricevette una formazione da mediatori americani quali J. Heynes, G. Friedman, J. Himmelstein, F. Kaslow e S. Cohen e nel 1992 nacque a Monaco la BAFM, Bundesarbeitsgemeinschaft fur Familienmediation, organismo associativo tra professionisti finalizzato a definire alcuni standard formativi e i criteri di autorizzazione all’esercizio della pratica in assenza di una normativa.
Per quanto riguarda l’evoluzione in Spagna, ricordiamo che le prime iniziative di sensibilizzazione e formazione alla mediazione familiare partono nel 1990 per iniziativa del Ministero degli Affari Sociali in collaborazione con la Fondazione Famiglia Ocio y Naturaleza e nel 1992 a Barcellona, la Caixa finanzierà due servizi di mediazione familiare (Corsi e Siringano, 1999). Nella regione di Madrid, a Valencia e in Galizia alla fine del 2002 si avranno leggi regionali sulla famiglia che nominano questa pratica per l’aiuto alla separazione coniugale.
L’Austria che partecipò con vivo interesse al Convegno del 1989 a Strasburgo, si dette ben presto una regolamentazione interna sia sul valore legale degli accordi di mediazione che sui percorsi formativi offerti all’interno delle Università a tutti i professionisti coinvolti nel processo di divorzio.

Il 1984 segna la svolta in Italia rispetto ad una “nuova modalità di gestione dei conflitti familiari” con la pubblicazione del contributo dei tre padri della psicologia giuridica italiana, Cesabianchi, Quadrio e Scaparro, che nell’articolo Maturare la separazione, in “Il bambino incompiuto” parlarono di mediazione familiare. Si avviò così una prima riflessione sulla necessità di interventi per l’accompagnamento dei soggetti coinvolti nel processo di separazione, non più visto come un evento puntuale, ma come un percorso complesso, bisognoso di nuove strumentazioni tecnico professionali (Bernardini, 1989).
A questo scritto seguirà nel 1988 il volume di Gulotta e Santi “Dal conflitto al consenso” in cui viene presentata al nostro pubblico l’istituto della mediazione familiare nelle situazioni di separazione e divorzio e con una apertura ai diversi ambiti di applicazione possibili.
Dalla fine degli anni ottanta in poi la mediazione prende piede in Europa.
A Milano, il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, avvia in collaborazione con l’IEMF i primi corsi di formazione e apre le porte il Servizio Comunale Genitori Ancora di Milano per iniziativa di Fulvio Scaparro e Irene Bernardini17; a Roma, presso la facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza”, l’équipe diretta da Anna Maria Dell’Antonio con R. Ardone e S. Mazzoni avvia una Sezione sperimentale di mediazione familiare per le separazioni difficili, in collaborazione con l’Ufficio Tutele della Pretura di Roma18 e sempre a Roma nel 1993 ha luogo il primo Congresso internazionale sulla mediazione familiare nella separazione e divorzio realizzato dal Dipartimento dei Processi di sviluppo e Socializzazione al quale parteciperanno anche colleghi francesi ed americani19.
A metà degli anni novanta l’équipe dell’Associazione Gea di Milano realizza un percorso formativo per gli operatori dei Centri per le Famiglie della Regione Emilia Romagna e nel 1998 uscirà il volume collettivo a cura di C. Marzotto e R. Telleschi, frutto del percorso formativo con gli operatori psico sociali dell’ASL città di Milano (1994-96); i primi dati di ricerca in contesto esplicitamente italiano si avranno nel testo di Bernardini e Scaparro (1994) e di Canevelli e Lucardi (2000).
Il Consiglio d’Europa il 1 e 2 ottobre 1998 indice La IV Conferenza europea sul diritto di Famiglia avente come tema la Mediazione Familiare, per presentare la Raccomandazione N.R (98)1 in cui si invitano gli stati membri “a promuovere la mediazione familiare e a prendere o rinforzare tutti quei provvedimenti necessari per mettere in atto modalità appropriate per la soluzione dei conflitti familiari” in quanto ritiene la mediazione una risorsa che “consente alle parti di riallacciare il dialogo per trovare una soluzione al loro conflitto”, anziché rinchiudersi in una logica di scontro da cui di solito escono un vincitore e un vinto. E’ importante notare che già allora si apre già la prospettiva di utilizzare la mediazione anche per affrontare altri contenziosi familiari.
In quell’occasione tutti poterono vedere la mediazione dal vivo, osservando tre brevi simulazioni di mediazione familiare realizzate nell’emiciclo di Strasburgo da 4 mediatori del UK College of Family Mediators: C. Richards, P. Montgomery, E. Walsh con una formazione di base giuridica e la scozzese Fiona Garwood, fondatrice del Family Mediation Scotland20.
La dimensione etica, gli standard formativi e lo status quaestionis nei diversi paesi europei era stata oggetto per anni di un attento osservatorio da parte dello staff del Consiglio d’Europa e anche in quell’occasione fu messo a tema tra gli altri il delicato rapporto tra mediatore e giudice e la questione cruciale della riservatezza delle informazioni tra i due contesti.
Lo scambio di informazioni tra diversi paesi e tra professionisti di diverse discipline fu straordinario: si aveva l’impressione di partecipare alla fase dello stato nascente e la rete relazionale tra mediatori europei che si stabilì facilitò negli anni seguenti un fitto scambio di risorse. Ciascuno dei partecipanti ritornò in patria con una precisa missione da compiere a livello micro, meso e macro: diffondere la cultura della mediazione nella gestione dei conflitti familiari, aggregarsi in associazioni, aprire servizi e fare “mediazioni” integrate con il mondo della giustizia.
È a Marsiglia nel 1996 che il Forum Europeo dei Centri di formazione alla mediazione familiare vede la luce come organismo europeo per la promozione di standard formativi omogenei e per lo scambio culturale tra modelli ed esperienze diverse attive in Europa (registrato a Marsiglia in Francia, sede della prima assemblea in occasione di un importante Congresso internazionale promosso dall’Università della Provenza sugli interventi a sostegno della genitorialità)21.
Ogni anno l’Assemblea dei Centri di formazione riconosciuti, con la riunione del Comitato Direttivo e del Comitato degli Standard, avrà luogo in diverse città europee, in connessione con appuntamenti culturali di confronto e scambio reciproco, con l’obiettivo di continuare l’impresa congiunta di diffusione della mediazione per la cura dei legami familiari.
Ricordiamo ad esempio la imponente partecipazione dei mediatori familiari italiani nel maggio 1998 al Colloque internazionale di Lyon dal titolo, “L’enfant au risque de l’oubli” organizzato dall’Institut des sciences de la Famille della locale Università Cattolica, seguito due anni dopo dall’altro appuntamento “La transmission dans la famille: sécrets, fictions et idéaux22”, nel 2003 dal Convegno di Roma e nel 2004 da quello di Lisbona.
A Napoli l’Aims organizza nel 199623 un importante convegno di approfondimento del modello sistemico di mediazione attuato non solo con le famiglie, a cui seguiranno il Convegno di Riccione del 2001 e quello di Castelbrando dell’ottobre 2003.
Nel frattempo si sviluppano in Italia due importanti filoni operativi: l’avvio di servizi specialistici di mediazione familiare integrati con il percorso giudiziario e l’introduzione della mediazione come risorsa all’interno di servizi polivalenti per le famiglie (si veda ad esempio l’esperienza della Regione Emilia Romagna con i Centri per le famiglie, dell’ASL città di Milano e del Comune di Palermo). Già dal 1994 alcune Regioni come la Liguria, il Lazio, la Toscana e la Lombardia (si veda il recente Piano Socio Sanitario della Lombardia 2002-2004), introducono nelle norme locali la mediazione come una risorsa per la difficile transizione della separazione e del divorzio, finché la L. 285 sui servizi per l’infanzia e l’adolescenza, parla di servizi di mediazione per garantire il benessere dei figli delle famiglie divise.
Successivamente la legge 77 del 2003 per la tutela dei diritti del minore, introduce esplicitamente il ricorso alla mediazione familiare.

La terza generazione: la mediazione nel III millennio

Il superamento della ADR (Alternative Dispute Resolution) verso un percorso specifico di mediazione per i conflitti familiari nella coppia e tra le generazioni. I curatori del processo di una transizione familiare: la distribuzione dei modelli operativi su un continuum tra un polo strutturato ed un polo trasformativo

Ma non basta! nelle famiglie che vivono difficili transizioni come la separazione o il divorzio, non è sufficiente avviare percorsi extragiudiziari per la de-giuridicizzazione dei conflitti, c’è bisogno di cambiare lo stile comunicativo della coppia parentale e di avviare un processo di rigenerazione dei legami.
Ai mediatori impegnati con le coppie in conflitto appare sempre più evidente che ai genitori è opportuno offrire interventi per la facilitazione della negoziazione e per la ritualizzazione di passaggi critici della vita familiare e per mantenere il dialogo tra le generazioni. Dalla fine degli anni novanta la mediazione si caratterizza non più come un percorso “parziale” focalizzato solo sui temi dell’educazione dei figli, ma si diffonde il modello“globale”, (all issues, comprehensive family mediation), ovvero la ricerca di accordi riguarda anche le questioni economiche legate al patrimonio familiare.
La mediazione si trasforma in un percorso più ampio dove a differenza delle altre forme di risoluzione delle dispute oltre al contenuto oggetto del contendere è indispensabile modificare la relazione tra genitori, portare in salvo il legame con le differenti stirpi; la ricerca spinge non solo ad evitare la distruttività del conflitto, ma a favorire per la presenza di un terzo, un transito costruttivo, una nuova identità del corpo familiare. I mediatori cominciano a praticare a tempo pieno e si aprono numerosi servizi per la mediazione familiare sia in Italia che in Europa.
I criteri formativi sono molto più definiti e il Forum Europeo diffonde nelle diverse nazioni del Mediterraneo gli standards indispensabili per un servizio omogeneo in un’Europa Unita; sempre più numerosi casi di divorzi transnazionali in cui professionisti di diverse nazioni devono coordinarsi per la ricerca di soluzioni comuni destinate a bambini con genitori di nazionalità diversa. L’interesse dell’ambiente giuridico è sempre più elevato come testimoniano i numerosi convegni promossi dalle associazioni degli avvocati di famiglia, delle Camere camerali a Roma, a Varese, a Torino e in molte altre città italiane.
Le formazioni condotte con gruppi interdisciplinari come ad esempio quelli condotti all’interno dei Master Universitari dalla Cattolica di Milano, vedono integrate le competenze professionali e si aprono numerosi Centri di Co-mediatori, dove sul modello anglosassone le due professionalità si integrano. Molti paesi Europei ratificano l’Accordo dell’Aja sui diritti del minore e inseriscono la mediazione come una risorsa fondamentale per la garanzia dei diritti del minore.
I colleghi svizzeri utilizzano il contesto della mediazione per l’audizione dei minori per conto del giudice, valorizzando ancora una volta le responsabilità genitoriali (Ceppi MS, 2002).
Ecco allora che in Francia viene varata la L. 305/2002, dove il giudice della famiglia, - per garantire il comune esercizio dell’autorità genitoriale - può proporre una mediazione familiare e nel 2001 il Conseil National, nomina una Commissione mista per mettere a punto un progetto di formazione e organizzazione di servizi per la mediazione familiare e per uniformare sul territorio nazionale sia i livelli formativi indispensabili, che la qualità e l’accesso alla risorsa della mediazione (Dahn, 2003)24.
Teniamo presente che oggi in Francia, quando si parla di Servizi Mediazione familiare si fa riferimento ad un ampio spettro di interventi nell’ambito del diritto civile, con coppie genitoriali che spontaneamente si rivolgono ad un terzo equidistante dalle parti, ma altresì ad un azione prescritta dal JAF o dal JM (Giudice per gli Affari Familiari o Giudice Minorile) per servizi per i conflitti tra figli e genitori, per conflitti tra adulti di generazioni differenti, tra famiglie ricostituite,ecc (cfr. Babu e Aufierre, 2003).
In Francia dopo la nascita dell’APMF di cui si è accennato sopra e grazie alla sua azione congiunta con la federazione, ci sarà una legge N. 125 dell’8.2.1995 - titolo II, art.21 dove si fa esplicito riferimento alla mediazione, come un percorso grazie al quale le persone in conflitto possono raggiungere degli accordi condivisi.
Poi con la Legge sull’autorità genitoriale del 4.3.2002, article 372-2-10 la mediazione viene inserita nel Codice Civile della repubblica francese e dei territori d’oltremare.
Caratteristica di questa terza generazione oltre all’introduzione di norme proprie per rendere la mediazione una risorsa accessibile a tutti coloro che lo desiderano dal punto di vista economico e legale, oltre alla omogeneizzazione dei percorsi formativi, è l’avvio di numerose ricerche per la valutazione dell’efficacia del percorso mediativo, per la misurazione del suo impatto sui costumi delle comunità europee e per conoscere il grado di soddisfazione da parte dei diretti interessati.
Diffuse in tutto il mondo sono oggi le ricerche longitudinali condotte da Robert Emery e dalla sua équipe della Virginia University. Già nel 1994, con il suo volume Renegotiating relationships: Divorce, child custody, and mediation, ci mostrò gli effetti positivi della mediazione che saranno poi confermati dalla sua ricerca pubblicata successivamente e da cui emerse evidente che i figli i cui genitori si sono separati ricorrendo al mediatore, hanno qualità e quantità di contatti molto più intensi rispetto ai ragazzi delle famiglie separate con l’iter legale tradizionale25. Inoltre apparve chiaramente che il livello di soddisfazione delle parti è molto superiore nel gruppo campione che segue la via mediativa rispetto al gruppo di controllo a cui è dato di seguire il tradizionale iter giudiziario.
Per quanto riguarda la formazione segnaliamo a partire dal 1998 il percorso europeo proposto all’Istituto Universitario K. Boesch di Sion in Svizzera, da parte di cinque università, esempio interessante di questa apertura ai diversi modelli di operatività, ma anche alla pratica della mediazione in altri ambiti, dove è riconosciuta a questa risorsa la caratteristica di essere un forte protettore sociale dei legami tra le generazioni e nelle comunità.

I luoghi della mediazione

Dal punto di vista logistico la mediazione ha percorso nel tempo un itinerario di fuga, cioè di allontanamento dai luoghi dove si esercita la giustizia: ospite inizialmente dei tribunali, i mediatori familiari del divorzio lottano per uscirne. Ricordo l’accorato intervento di G. Devis in occasione del Congresso Europeo sulla Mediazione familiare a Caen nel 1990, quando perorò la causa dell’”autonomia dalle sedi giudiziarie” in quanto troppo rischiose ed influenzanti il setting della mediazione. Appariva troppo difficile “ripulire” il contesto - come si usa dire in gergo - dalla logica del giudizio su “chi sia o meno il genitore idoneo”. Assistiamo pertanto ad un movimento costante ed inesorabile di differenziazione del settting della mediazione dal contesto giudiziario e ad un progressivo spostamento in sedi “altre”, ovvero nei servizi per la famiglia pubblici o di terzo settore o negli studi privati.
Oggi possiamo dire che in tutto il mondo la collocazione extra-giudiziale del mediatore è ritenuta una conditio sine qua non per l’efficacia del processo mediativo, anche se permane serrato l’intreccio tra mediazione spontanea e iter legale ineliminabile.
Un recente censimento condotto dal Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano sul territorio nazionale, segnala che per quanto riguarda la collocazione istituzionale, la mediazione attualmente è offerta in servizi polivalenti (64.4% dei casi) dove è affiancata ad altre prestazioni per la realtà familiare nel suo complesso, e in servizi specialistici (29.4% dei casi) cioè dove viene svolta solo la mediazione familiare26. Dal punto di vista istituzionale si tratta sia di centri pubblici, che di privato sociale o di volontariato, che in studi professionali. Questa risorsa è offerta congiuntamente alla consulenza psicologica (76,2% dei centri) e alla consulenza legale (73% dei centri). Sull’efficacia dell’una o l’altra scelta rimandiamo alla ricerca presentata a Firenze nel 200227 e al suo aggiornamento presentato a Ediburgo nel 2004. Qui ricordiamo soltanto che i mediatori attivi in servizi polivalenti portano a termine un più alto numero di mediazioni, in quanto viene dato ampio spazio all’analisi della domanda e all’ingaggio nel processo, nella fase di pre-mediazione.

La regolamentazione legislativa

L’iter legale della mediazione ci mostra come questa pratica, avviata in Inghilterra si diffonde rapidamente in Scozia, Galles e Irlanda e secondo il pragmatismo anglosassone trova spazio ben presto all’interno della legislazione: è del 1996 il Children Acte per l’Inghilterra e il Galles e del 1999 il Family Law Act, dove si “richiede” agli avvocati di indirizzare i clienti che ricercano consulenza legale per procedimenti di separazione ad un incontro gratuito e obbligatorio con un mediatore riconosciuto dal United Kingdom College of Family Mediation28. Prima della consulenza legale per farsi rappresentare in tribunale si offrono - a tutti - le informazioni sufficienti per poter scegliere questo itinerario esterno ai tribunali, che sarà gratuito per gli aventi diritto29.
Osservando il percorso legislativo avvenuto nei vari paesi troviamo che l’ “alternativa dolce” per arrivare alla separazione è proposta ai genitori con un “momento informativo obbligatorio”, ma in nessun paese la mediazione viene imposta per legge, pena la sua efficacia. Ciò di cui c’è bisogno è una normativa che armonizzi gli interventi dei diversi attori presenti sulla scena del divorzio in una catena di possibili tragitti in cui la posta in gioco sia relazionale che economica trovi un tempo e uno spazio di elaborazione adeguati.
Dalle esperienze straniere un’indicazione possibile potrebbe essere quella di istituire anche presso i tribunali italiani, presso i consultori familiari e in tutti i luoghi dove le coppie si recano per avviare la procedura di separazione, delle sedute informative, in cui poter trovare un professionista appositamente formato e un legale, che mettano i genitori nelle condizioni effettive di poter prefigurare il loro futuro e di mantenere le proprie responsabilità genitoriali e scegliere per un percorso di mediation o di litigation (Emery, 2000).

Le associazioni tra professionisti

Secondo la fisiologia delle nuove professioni anche per la mediazione familiare si è verificato il percorso di aggregazione tra centri di formazione, tra professionisti praticanti alla ricerca di definire un corpus teorico, gli standards formativi e un codice deontologico che ne qualificasse requisiti minimi, competenze e abilità, nella preoccupazione di proteggere clienti e comunità sociale.
Nel 1995 in Italia le relazioni tra università e centri di pratica mediativa a favore delle famiglie divise sono maturi e il 25 maggio i rappresentanti di cinque scuole di formazione (l’Irmef e il Centro per l’Età Evolutiva di Roma, l’Associazione Gea di Milano, la Scuola Genovese di Mediazione familiare e il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano), si recano a Roma dal Notaio per dare vita alla Simef, aggregazione di mediatori familiari praticanti, che fanno riferimento ad un Codice Deontologico e che definiscono il profilo professionale e gli standard formativi di questa nuova risorsa per le famiglie divise.
Contestualmente il Direttivo Simef viene ricevuto dall’allora Ministro per gli Affarri Generali On. Ossicini, promotore dell’Osservatorio per la famiglia, all’interno del quale la mediazione familiare avrà un ruolo determinante. Questo organismo e poi la Commissione interministeriale in tappe successive ascolterà testimoni privilegiati e rappresentanti delle varie scuole per raccogliere pareri e informazioni sul tema e per conoscere l’esperienza di altri paesi con lo scopo di giungere ad una proposta di Legge che - rivedendo la normativa del divorzio - prefiguri il percorso mediativo per coloro che avendo figli desiderano prendere accordi in piena responsabilità. Mentre sto scrivendo mi risulta che siamo arrivati ad una proposta unitaria a firma dell’on Paniz, ancora perfettibile e in attesa di una discussione alle Camere.
Sempre nel 1995 per iniziativa di scuole di formazione alla terapia sistemica, quali Eteropoiesi di Torino, Iscra di Modena, ITF di Firenze prenderà vita l’Aims, l’Associazione Internazionale Mediatori Sistemici, associazione alla quale appartengono mediatori impegnati in ambito sia familiare che sociale.
Nel 1999 si costituisce l’Aimef, Associazione Italiana Mediatori Familiari con l’ obiettivo specifico della “tutela della figura professionale” e del riconoscimento della nuova professione del Mediatore Familiare (ottenuto poi nel 2004).
In Inghilterra nel 1998 l’Associazione professionale dei Mediatori Familiari, l’United Kingdom College of Family Mediators oggi diretta da Huge England, fa riferimento ad un suo Code of Practice e al suo interno dispone di un Professional Standards Committee, che indica anche le tappe di una Formazione Permanente (Cfr. www.ukcfm.co.uk.)
In Germania come abbiamo visto il BAFM, Bundesarbeitsgemeinschaft fur Familienmediation, nel 2002 conta già 600 membri e ha riconosciuto 10 organismi autorizzati alla formazione interdisciplinare.

La formazione

Dopo un periodo di relativa dispersione, in cui la formazione dei mediatori europei avveniva prevalentemente andando negli Stati Uniti o in Canada, a partire dal 1995 l’APMF dopo il Congresso di Caen, allarga la sua funzione coordinatrice ad altri paesi europei. Viene riconosciuta una Commissione Formazione presieduta da Joceline Dahn fondatrice del Primo servizio di mediazione per la Municipalità di Parigi, come l’organismo sopranazionale idoneo per il rilascio degli accreditamenti ai centri di formazione francesi ed europei che faranno richiesta e si avvia così una iniziale ed indispensabile funzione unitaria, facilitata anche dalla diffusione del Codice Deontologico (la Charte Européenne de la formation des Médiateurs Familiaux) e di alcuni parametri di base per la formazione. Si comincia a intravedere un modello comune di trasmissione di conoscenze teoriche, di abilità tecniche e si richiede una pratica supervisionata, secondo una prassi ormai diffusa in Francia, Belgio, Italia, Spagna e Svizzera.
Il percorso formativo in aggiunta alla formazione di base, si attesta sulle 30 giornate (lezioni teorico pratiche impartite da mediatori esperti e da studiosi delle diverse discipline e stage pratico), creando non pochi problemi proprio ai colleghi inglesi, che prevedevano delle formazioni molto più brevi e segmentate. In questa riflessione a posteriori, notiamo che in questa prima fase i paesi del Nord Europa sono più autonomi e meno coinvolti in questa operazione di omologazione europea! Sarà ancora una volta Lisa Parkison che metterà in contatto i mediatori del nord e sud Europa nelle giornate di formazione per formatori dapprima a maggio del 2000 a Londra, e successivamente nel 2002 a Edimburgo.
Nel 1997 l’eredità di questo coordinamento spontaneo tra centri di formazione di diversi paesi fu raccolto in occasione di un importante Convegno a Marsiglia dove fu fondato il Forum Europeo dei Centri di Formazione e Ricerca in Mediazione Familiare, cui si è accennato prima, la cui prima Presidente fu Marie Claude Talin dell’Università di Provenza30, a cui è seguita Isabella Buzzi e oggi è diretto da Daniel Bustelo di Madrid.
La funzione svolta dal Forum è stata quella di fissare alcuni standards minimi per l’acquisizione del titolo di mediatore familiare, di elevare sempre più il livello qualitativo delle competenze, di offrire occasioni di scambio e controllo reciproco tra paesi europei, anche se ciascun paese si sta avviando a definire propri percorsi formativi. In Francia ad esempio con il decreto del 2/12/03 si sono definite le caratteristiche di un Diplôme d’Etat de médiateur familial31 e nella stessa direzione si stanno movendo altri paesi32. In questo testo, tra gli obiettivi del mediatore non è più soltanto indicato l’aiuto a trovare soluzioni alternative in casi di rottura della relazione, ma si parla esplicitamente di “ricostruzione dei legami familiari” (art.1), riconoscendo a questa pratica, una funzione ampia e qualificante. Per utilizzare una terminologia del paradigma “relazionale simbolico” mi pare che si possa affermare che viene assegnato a questo professionista un compito di “rigenerazione dei legami” familiari e comunitari.

Osservazioni conclusive

Come si sarà potuto notare dall’escusrus storico che ho cercato di delineare, la mediazione è una risorsa che risponde ad una precisa rappresentazione del famigliare inteso come gruppo con storia che genera storia, come luogo di apprendimento delle differenze di genere, di generazione e di stirpe (Scabini, Cigoli, 2003) che facilita la trasmissione di questi valori al di là del conflitto e che cerca di contenerne la dimensione distruttiva.
Infatti oggi parliamo di mediazione come di un intervento professionale per rinforzare i legami significativi, cioè di un rito scandito in tappe attraverso il quale il corpo familiare inteso come insieme di genitori, figli e parentela transitano da un ‘organizzazione di vita sotto lo stesso tetto, in cui genitori e figli coabitano, verso un nuovo assetto relazionale in cui – dato il conflitto insanabile – si vive in due case divise, ma vengono mantenute le responsabilità genitoriali, viene riconosciuto il valore dell’altro genitore. Il legame familiare viene “rigenerato dal conflitto” e caratterizzato in modo nuovo, allo scopo di permettere alle persone coinvolte di continuare ad avere fiducia nei legami e vivere nella speranza e nella possibilità di allacciare nuove relazioni positive.
Al termine di questa breve rassegna sulla storia della mediazione familiare vediamo delinearsi una competenza professionale o una nuova professione, dalla grande rilevanza sociale, alla quale è assegnata una responsabilità cruciale nella costruzione del benessere delle nostre comunità.


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Note

1 Parlerò qui della mediazione familiare intesa come intervento professionale specifico, tralasciando la mediazione intesa come prassi diffusa, in cui un terzo interviene nelle controversie della vita quotidiana come mediatore di litigi – prassi esistente all’interno di tutte le società fin dai tempi antichi e tutt’ora presente in alcune culture. 2 Si veda a questo proposito che tutti gli organismi rappresentativi dei mediatori concordano su questa formazione. Cfr. i siti web www.simef.it; www.mediazionesistemica.it; www.aimef.it. 3 Si rinvia ad altri testi per l’analisi dell’evoluzione dei modelli alla ricerca dei fondamenti epistemologici della mediazione (Cigoli, 1998; Marzotto-Telleschi, 1999; Marzotto-Tamanza, 2003; Mazzei, 2002) Scaparro, 2004;. 4 Da una recente ricerca emerge che il successo della mediazione è positivamente correlato con la formalizzazione del contratto che segue alla premediazione, cfr. C. Marzotto, G. Tamanza, L. Gennari, La valutazione della Mediazione Familiare. Un’analisi empirica del processo, Convegno Simef, Firenze, 2002, in press. 5 Cfr. Van Gennep A., I riti di passaggio, Boringhieri, Torino, 1981 (ediz. orig. 1909). 6 Cfr. citazione in Corsi M.- Siringano C., La mediazione familiare. Problemi, prospettive, esperienze, Vita e Pensiero, Milano 1999 7 Parkinson L., La mediazione familiare. Modelli e strategie operative, Erickson, TN, 2003 (ediz. italiana a cura di Marzotto C.). 8 Cfr. W.G. Neville, Reflection on the Growth and Significance of Divorce Mediation, “Divorce Mediation Perspectives on the Fields”, The Haworth Press, New York, 1985, pp.3-7, citato in M. Corsi e C. Sirignano, La mediazione familiare, Problemi, prospettve, esperienze, Vita e Pensiero, Milano 1999. 9 Cfr. Ardone R. e Mazzoni S. (a cura di), La mediazione familiare, Giuffrè, Milano 1994, p. XIV. 10 Cfr. Heynes J., The Family Mediator: a new role, in “ Social Work”, XXIII,1, 1978. 11 L’Edizione italiana, con Buzzi I., Introduzione alla mediazione familiare. Principi fondamentali e sua applicazione, esce da Giuffrè a Milano nel 1996. La Rivista “Connessioni” tradurrà il suo articolo Evitare le trappole che i mediatori si creano, nel 1999, IV, pp. 25-38. 12 A proposito di questa esperienza, cfr. il volume collettivo multidisciplinare a cura di L. Boyer, La mediazione familiare, tradotto in Italia da Liguori editore, Napoli, nel 2000 (ediz originale 1998). 13 Cfr. Marzotto C. Les familles monoparentales: besoins et ressources des parents, des enfants et des grand-parents, in AA. VV, <<III journées d’étude Europe-Amérique, 25-28 septembre 2003, Montreal>>, in press. - 14 Annie Babu sarà poi insignita del titolo di Cavaliere del lavoro nel 2003 dal Presidente della repubblica francese, per il suo impegno nella promozione della mediazione familiare. 15 Vedremo successivamente che nel 2001 quando il Ministro della Giustizia e degli Affari familiari istituirà un Conseil National consultatif de la Médiation Familiale, sarà nuovamente la Presidente di un’Associazione Familiare, Monique Sassier a presiederla. Cfr. Documento finale, febbraio 2004. 16 Cfr. Bastard - B. Vonèche L., Le divorce autrement: la médiation familiale, Syros Alternative, Paris, 1990) 17 Cfr. Bernardini I. Dica il CTU: intervento al Convegno Perizie e consulenze tecniche, Roma, 10/1989, dattiloscritto; Bernardini I. (a cura di) Genitori ancora. La mediazione familiare nella separazione, Editori Riuniti, Roma, 1994; F. Scaparro, La difficile convivenza, Cultura giuridica e cultura psicologica a confronto in tema di tutela dell’infanzia e della famiglia in crisi, Unicopli, Milano 1982. 18 Cfr. Ardone R. Nuove metodologie d’aiuto alla famiglia in crisi:la mediazione familiare, in Marzotto C., Telleschi R. (a cura di), Comporre il conflitto genitoriale. La mediazione familiare: metodo e strumenti, Unicopli, Milano 1999. 19 Ardone R. e Mazzoni S. (a cura di), La mediazione familiare, Giuffrè, Milano 1994. 20 Nel giugno 2004, il FMS festeggerà i primi trentenni di lavoro con un Congresso internazionale “Back to the Future” alla presenza dei noti ricercatori nel settore, R. Emery, J. Kelly e J. Wlaker. La professoressa del New Castle Center for Family Studies, presenterà interessanti dati di ricerca sull’esperienza professionale inglese. 21 Per l’evoluzione del Forum europeo, la sua griglia di ammissione, gli attuali partecipanti e gli appuntamenti culturali cfr. http://www.europeanforum-familymediation.com/ 22 Marzotto C. & Tamanza G., Séparation coniugale et transmission intergénérationnelle: une évaluation empirique de l’efficacité de la médiation familiale, in Rodet C. (a cura di), La transmission dans la famille: sécrets, fictions et idéaux, Harmattan, Paris 2003. 23 Cfr. Busso P, Colombo D.A., Marinoni R., RuggieroG. (a cura di) Aiutare ad aiutarsi/, La mediazione nei conflitti sociali e di comunità. La sfida ecologica del conflitto - La mediazione sociale e comunitaria - Il conflitto familiare: dalla valutazione al processo di mediazione, in “Animazione Sociale”, V, 1997. 24 Si parla in questa Commissione di una mediazione strettamente vincolata al Juge des affaires familiaux e ricompaiono modelli di mediazione “giuridico –assistenziale centrata sul compito e finalizzata a fornire un supporto al giudice per la presa di decisioni nei casi di “conflitto acuto e prolungato” (Neri, 2002, pag. 5) con tutti i rischi connessi e il pericolo di una confusione tra mediazione, perizia e terapia familiare che ci fanno continuare ad auspicare una collocazione “altra” dal tribunale e una riservatezza per quanto riguarda lo scambio tra mediatore e giudice e un accesso volontario al terzo (Marzotto, 1994). 25 Cfr. Emery R. Mediazione familiare e procedure tradizionali nell’affidamento dei figli. Una ricerca sulla co-genitorialità 12 anni dopo l’avvio della separazione legale, intervento a Palermo, marzo 2001, in C. Marzotto A. Errore, Mediazione familiare e cura dei legami tra le generazioni, F. Angeli Editore, Milano (in press). 26 Cfr. C. Marzotto e A. Bertoni, I servizi di mediazione familiare in Italia: un primo censimento, in press 27 Cfr. Gennari M.L., Marzotto C., Tamanza G., La valutazione della Mediazione Familiare. Un’analisi empirica del processo, in Ardone R., (a cura di) Atti del Convegno SIMeF, Firenze, ottobre 2002, Carocci, Roma, (in press). 28 Parkinson L., La mediazione familiare. Modelli e strategie operative, Erickson, TN, 2003 (edizione italiana di Marzotto C.). 29 Janet Walker sarà incaricata nel 1997 di valutare l’efficacia di questa sperimentazione normativa e i nodi critici riscontrati porteranno nel 2001 il Governo inglese a non implementare questa riforma: ancora una volta constatiamo che l’obbligatorietà non risulta efficace! 30 Cfr. Marzotto C., La mediazione familiare: una nuova professione per la famiglia in crisi e la cura dei legami tra le generazioni, in “Politiche sociali e servizi, 2/2002, pp. 221-230 31 Cfr. M. Sassier, Construire la médiation familiale, Edizioni Dunod, Paris 2003. 32 In Italia il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica ha in corso la quinta edizione del Master Universitario biennale di II livello e dall’anno accademico 2003/04 è in atto un insegnamento di Teorie e Tecniche di Mediazione familiare, all’interno del Corso di Laurea Specialistica in Psicologia Clinica, indirizzo “Salute, Relazioni familiari e interventi di comunità”.

1 commento:

blogger ha detto...

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